Elisabetta tra i bambini di Viloco: “Essere missionari vuol dire donarsi senza riserve”

Ci sono esperienze nella vita che richiedono di essere vissute, gustate e affrontate ancora. E’ il richiamo del viaggio, del partire e di non restare fermi, di spingersi sempre più in là, alla ricerca di alcune risposte che probabilmente, una società troppo caotica come la nostra, non è capace di fornire.

Elisabetta Cattaneo, 29 anni, un passato di scelte importanti, controcorrente, fuori dalle convenzioni oltre che dai confini, tra settembre e dicembre dell’anno scorso si è recata a Viloco, in Bolivia, per un’esperienza che lei stessa ha definito intensa e bellissima. Fra pochissimi giorni saluterà la propria famiglia, gli amici e compagni di avventure per tornare nuovamente in quel villaggio, la sua futura casa per i prossimi due anni. Certezze? Per il momento, molto poche. «Per ora so solo che prenderò un aereo il 21 Marzo. Che cosa mi accadrà lo scoprirò».

La terra della Bolivia è inciampata tra i piedi di Elisabetta più volte. Già in passato si è recata in Bolivia, incoraggiata da don Antonio Caglioni, padre che risiede nella missione di Viloco; per anni è stato il parroco della parrocchia di Tribulina di Scanzo, luogo in cui è cresciuta Elisabetta. «Con don Antonio ho instaurato un profondo rapporto di fiducia e riconosco in lui una guida-spiega Elisabetta». Proprio don Antonio le ha chiesto, nei mesi prima di settembre, di raggiungerlo in Bolivia e occupare quel tempo che, come definisce Elisabetta, avrebbe rischiato di vederla semplicemente “parcheggiata”.

«A giugno dell’anno scorso ho lasciato il lavoro d’insegnante presso la scuola professionale del Patronato –racconta Elisabetta -. Volevo fare un’esperienza che mi permettesse di sviluppare nel concreto gli studi che sto conducendo di Cooperazione Internazionale. L’idea iniziale era di partire per la Palestina, a Gennaio 2015, anche se avrebbe significato vedermi inattiva per alcuni mesi, in attesa della partenza». Proprio durante i mesi estivi è arrivata la richiesta di don Antonio di atterrare in Bolivia per seguire Fabrizio, un bambino albino, che per sei mesi è stato ospite della casa famiglia in cui Elisabetta ha vissuto per quattro anni, casa Madia. Così a Settembre Elisabetta è partita, destinazione: Viloco.

Viloco è un piccolo villaggio sperduto tra le Ande, distante quasi 100 kilometri da La Paz e abitato da circa 600 minatori, lavoratori in una miniera di stagno. Tra settembre e dicembre Elisabetta ha seguito Fabrizio e altri bambini disabili, in particolare due bambini affetti da lesione celebrale. «Durante il mio soggiorno mi sono occupata un po’ della casa che condividevo con don Antonio e Davide, un giovane laico volontario – precisa Elisabetta -. Ho seguito anche i bambini e il progetto dell’associazione onlus Kantutitas, fondata sempre da don Antonio, che si occupa di donazioni a distanza; mi recavo nelle diverse comunità e gestivo gli incontri dell’associazione».

Poi, tornata da questa esperienza, la notizia che il progetto Palestina non era più possibile. «Dopo questo imprevisto ho maturato la consapevolezza che la mia esperienza in Bolivia era stata forte e intensa e che mi sarebbe piaciuto tornare là, a quasi cinquemila metri, tra le Ande». Una riflessione che ha permesso ad Elisabetta di scegliere di raggiungere nuovamente Viloco, affidandosi questa volta al Centro Missionario Diocesano per un motivo ben preciso. «Voglio concedermi questa esperienza per cercare anche di rispondere a delle domande esistenziali, a un bisogno di una spiritualità che, essendo io cristiana, sento necessaria. Un contesto missionario, che richiede il dono completo di se stessi per qualcun altro, è il migliore per rispondere a questa mia esigenza: non è semplicemente un progetto di cooperazione, altrimenti avrei scelto una qualsiasi ONG».

Elisabetta conosce già l’ambiente che troverà a Viloco, affrontato e vissuto nei mesi passati, eppure sempre in grado di sorprenderla. «La difficoltà più grande che ho incontrato a Viloco è stato tornare ad un livello di essenzialità a cui noi non siamo più abituati. L’idea di non avere alcune comodità, come il riscaldamento, la lavatrice, i negozi, non è semplice da affrontare. Manca davvero molto e la quotidianità mi ha permesso di capire qual è la parte vera del viaggio che ho vissuto e che vivrò ancora: capire cosa è veramente importante, tornando a un’essenzialità che qui a Bergamo non riesco a trovare».

I giorni che la separano dalla partenza sono veramente pochi ormai; sabato 14 Elisabetta ha ricevuto in dono dal Centro Missionario il crocefisso e il mandato della missione che fra poco abbraccerà. Spontaneo chiederle se è pronta, se è emozionata e forse anche un po’ spaventata. «Riabituarmi alla routine di Bergamo, in questi due mesi, non è stato facile. L’entusiasmo e la voglia di partire erano e sono grandi. Adesso provo un po’ di timore, è un’esperienza lunga e impegnativa. Considero la paura sintomo di una partenza intelligente, consapevole e sincera».