V.: «Saltavo i pasti, mentivo. Mi sentivo forte. Ma ho sconfitto l’anoressia grazie all’amicizia»

«Se ti fai del male il problema è lì, sotto i tuoi occhi, lontano dalla tua mente. Se invece è la tua mente ad avere un problema, allora è diverso, devi combattere contro te stessa. Ma per vincere non puoi combattere da sola».

È la storia di V., vent’anni, studentessa universitaria, sorridente e grintosa. Un tatuaggio sul fianco, un fiocchetto lilla, le ricorderà per tutta la vita che è riuscita ad affrontare il nemico peggiore, se stessa, in una dura lotta necessaria per ritornare a vivere. Perché l’anoressia, come ripete V., non è vita. Succede così, da un momento all’altro, se vogliamo diamo colpa alla sfortuna. Capita e basta, tanto che V. non si ricorda il giorno o il motivo scatenante, se non un disperato bisogno di inseguire la perfezione che lei non esita a definire insana e sbagliatissima.

Ai tempi V. era un’adolescente come tutte e una studentessa come tante: insomma, una normale ragazza di 16 anni. Eppure, durante il terzo anno di liceo, cominciò a nascere il lei il desiderio di eccellere a scuola e di ottenere il massimo in tutte le discipline. Il passaggio all’aspetto fisico avvenne solo in seguito, dopo una vacanza tra amici.

«In pochi giorni ero riuscita a perdere 3 kg, portandomi a pensare: allora è veramente facile dimagrire! Poi è iniziato tutto a precipitare. Ho iniziato a saltare i pasti, a non mangiare, a mentire. Mi sentivo potente, quasi un supereroe: mi sembrava facilissimo riuscire a controllare me stessa.»

I cambiamenti, non solo a livello fisico, non tardarono a manifestarsi. V. si chiuse se stessa, non riuscendo più a comunicare con nessuno. «Non che non volessi parlare con gli altri – spiega V. -, in verità non sentivo nemmeno l’esigenza. Mi concentravo su me stessa in modo egoistico: esistevo solo io e il mio sentirmi forte.»

Fortunatamente, come sottolinea V., non era sola. La prima persona che si è accorta del suo disturbo è stata la sua amica di scuola e compagna di banco. «All’inizio mi rivolgeva qualche domanda, tanto per capire cosa mi stava succedendo. Preoccupata dai miei cambiamenti, incominciò ad insistere, chiedendomi cosa facevo una volta tornata a casa, cosa mangiavo e se mangiavo;  era molto preoccupata. Io però non parlavo, anzi, nonostante l’amicizia avevo cominciato a provare per lei dei sentimenti di antipatia. Mi infastidiva.»

Preoccupata dai comportamenti di V., la sua amica decise di confrontarsi con i genitori. E da lì cominciò il periodo della malattia che V. definisce il peggiore. «I miei genitori mi obbligarono ad andare da uno psicologo e da un dietologo una volta alla settimana –racconta V. -. Adesso capisco che volevano aiutarmi, però ai tempi io non volevo assolutamente ricevere aiuto: pensavo di dover combattere contro tutti loro, tanto che passavo l’intera ora della seduta in silenzio e odiando i dottori. Non riuscivo a riconoscere di avere un problema.»

Con la mamma V. ha sempre avuto un rapporto tipico di madre e figlia, spesso conflittuale. «Discuto spesso con mia mamma, entrambe abbiamo dei bei caratteri.»  Eppure è in lei che V.  riconosce  la persona che più di tutte l’ha aiutata. «Durante il disturbo, quando alzavo la voce, urlavo e la trattavo male lei non rispondeva; era un modo di litigare diverso dal solito, non buttava tutto all’aria, ma passava oltre i miei insulti. Ora capisco che lo faceva per me, per aiutarmi e dirmi: sono qui».

Proprio quando la voglia di non ascoltare più nessuno si fece più intensa, arrivarono i primi dubbi e segni di cedimento. «Cominciai a chiedere aiuto indirettamente: piangevo, dicevo che non ce la facevo più, ma non riuscivo ad ammettere davanti agli altri che avevo bisogno di essere aiutata e soprattutto non ero intenzionata a cambiare».

Poi, come improvvisamente l’anoressia è piombata su V., così improvvisamente uno spiraglio di luce si è aperto in tutto quel grigio. «I miei amici del gruppo giovani erano usciti per una biciclettata; io ero rimasta a casa, perché ai tempi uscivo poco e non partecipavo a queste iniziative. La sera li incontrai di ritorno dalla gita: erano tutti felici e sorridenti. Proprio in quel momento mi resi conto di ciò che stavo perdendo, degli affetti che non stavo vivendo. Rigustai qualcosa che mi mancava da tanto, l’amicizia, il sentirmi circondata da persone con cui stavo bene e consideravo una famiglia. Volevo recuperare tutto ciò che avevo trascurato. Come fare? Come si può cambiare e tornare veramente a vivere?»

Ecco una nuova fase nella vita di V., la parola d’ordine? Ricominciare. «Non è stato un cambiamento netto, radicale –chiarisce V.-. Avevo sempre paura di chiedere aiuto, tanto da abbandonare le sedute con i dottori. Se all’inizio erano maggiori i giorni negativi, con il tempo, lentamente, è stato un progressivo miglioramento.»

Non è semplice abbandonare del tutto i pensieri che con prepotenza s’impadroniscono della mente. Ci sono giorni no, in cui sembra tutto negativo. In quei giorni V. sa dove trovare aiuto. «Quando non sto bene e la tentazione di tornare alla non-vita è forte, io parlo con il mio ragazzo. Quando il disturbo iniziò a manifestarsi ci frequentavamo da poco e non ci conoscevamo così profondamente come adesso, però lui non ha rinunciato a me. Mi è sempre stato vicino, anche nel silenzio. So che se mi avesse lasciato non ce l’avrei mai fatta ad uscirne. Da quel momento per me è diventato l’unico: con lui mi confido e chiedo veramente aiuto quando non riesco e tutto mi sembra impossibile. È la persona per me più importante, è il mio pilastro». V. ha scelto di raccontare la sua storia pur conoscendo la pericolosità del parlare troppo spesso dell’anoressia. «Ai tempi leggevo le storie di altre ragazze che come me avevano vissuto quel disturbo alimentare – spiega V.-, e prendevo spunto invece di accorgermi della situazione. Per questo so che parlare di anoressia è un’arma a doppio taglio. Però credo sia utile per chi vuole aiutare una ragazza vittima dell’anoressia, per riconoscere i sintomi, per non sentirti scoraggiati. Io sono stata molto fortunata: non so se ce l’avrei fatta vivendo in un’altra famiglia, in un altro ambiente, con altri amici. Se le persone ti stanno vicine in questi momenti, è perché ti vogliono veramente bene. Ascoltatele!»

foto lilla