Un concorso RAI e la scuola. I test a crocette alla ricerca di una impossibile obiettività

UN CONCORSO RAI: LE CROCETTE PER CAPIRE CHI SCEGLIERE TRA 3000 CANDIDATI

Trovare un equilibrio è sempre difficile, sopratutto in Italia. È notizia fresca che la Rai, per tacitare le fondate accuse di ambiguità nelle assunzioni passate, ha indetto un concorso per cento posti da giornalista; i tremila candidati che si sono presentati hanno dovuto rispondere in 75 minuti a un test a crocette con domande di varia natura: indicare la paternità di un dipinto o di un libro, chiarire aspetti della politica di Quintino Sella, datare l’ingresso nell’Ue di Croazia e Bulgaria, e via di questo passo. Non sono necessari altri esempi: pensare di selezionare un giornalista sulla base di un criterio simile è idea piuttosto bizzara. Davvero un quiz alla Gerry Scotti permette di individuare talento e professionalità, passione e motivazione di una persona? Che cosa può dire quel test dell’onestà intellettuale con cui il futuro giornalista valuterà i fatti, della sua capacità di sceglierli e poi di raccontarli?

Ancora una volta, nel Paese dei paradossi, si passa da un estremo all’altro: sembra che nella scelta del personale non possa esistere un criterio intermedio tra il familismo, la raccomandazione partitica o parentale da un lato e la pseudo-oggettività di test demenziali e inutili dall’altro. L’equilibrio, cioè una selezione che sia veramente meritocratica, rimane utopia.

A SCUOLA: GLI INVALSI

Sarebbe però impietoso bersagliare la Rai per una tendenza che riguarda un’intera società e, in particolare, un mondo dove non avrebbe mai dovuto attecchire, ossia la scuola. Già da qualche tempo ha cominciato ad affermarsi in quell’ambiente – per la verità ad un livello ministerial-burocratico più che didattico-professorale – un nuovo dogma, insindacabile e irrinunciabile: l’obiettività della valutazione. I sostenitori di questo principio hanno cominciato a mettere in discussione temi e interrogazioni, giudicandoli prove obsolete, troppo esposte alla soggettività e alla parzialità di chi li valuta, promuovendo la diffusione di test a crocette che invece darebbero un resoconto oggettivo della preparazione di uno studente, come gli ormai notissimi test Invalsi (da qualcuno argutamente ribattezzati Infalsi). A parte il fatto che la soggettività non è assente nemmeno in prove di questo genere (chi decide domande, opzioni, tempi? Sempre uomini, soggetti), chiunque non sia in malafede sa bene che l’obiettività totale della valutazione non è praticabile semplicemente perché non esiste. Non c’è una persona che veda uno stesso fatto in modo esattamente identico ad un’altra; quando qualcuno parla, scrive, agisce, chi sente, legge, assiste coglie aspetti diversi, legati alla propria sensibilità e alla propria natura: ognuno di noi vede la realtà con i propri occhi, viene colpito da qualcosa e resta indifferente ad altro. E questo indipentemente dal fatto che uno sia giornalista o professore, a prescindere dal fatto che la realtà osservata sia la prova di uno studente, un caso di cronaca o una questione politica. L’obiettività è un falso mito, se non un alibi; l’onestà, semmai, dovrebbe essere la vera stella cometa: ciò che è da evitare sono i pregiudizi e la programmatica faziosità, lo stravolgimento deliberato e interessato della verità.

Che si parli del concorso Rai o di scuola, è giusto continuare a chiedersi, nonostante tutto, se davvero può essere una X a individuare il bravo studente o il bravo giornalista.