Settembre, il rientro a scuola, i buoni propositi

Ci ho provato, in questa lunga pausa estiva di 14 settimane, a farmela passare. Mi sono organizzata, ho trovato cose meravigliose da far fare ai bambini mentre lavoravo, mi sono presa tutto il tempo che ho potuto per star con loro. Ma no, non è mi è passata. Resto fermamente convinta che vada immaginato un nuovo tempo della scuola.

Lo scrivo mentre corro a prendere i miei figli, che sì, finalmente questa settimana hanno ricominciato la scuola primaria. Ma non a tempo pieno, no. Per non so quale strana logica si riparte di martedì e fino a venerdì si fa lezione solo fino alle 12.30. Mi dicono che così si eviti il trauma da rientro. Trauma?! In pratica a singhiozzo si inizia con un orario provvisorio di lezioni da fine settembre. Con bambini che a stento ricordano come si legge e si scrive. E genitori che avrebbero bisogno di un mese in isolamento su un eremo per riprendersi.

In questi giorni ho letto cose d’ogni tipo. Da Sgarbi che propone di ripartire con la scuola a ottobre (“Buona cosa sarebbe in tempi di turismo culturale crescente, e ancor più di provocazioni sui prezzi delle località turistiche, differire l’apertura delle scuole a fine settembre o alla prima settimana di ottobre. In questo modo si allungherebbe la stagione turistica con grande beneficio per le imprese del settore ricettivo, mentre i giovani non sarebbero costretti a entrare nelle aule quando potrebbero invece conoscere la propria Nazione. Il Governo deve aprire un confronto su questo tema”) a chi ribadisce che a scuola col caldo estremo causato dal cambiamento climatico, soprattutto nel Mezzogiorno, non si può andare.

Intanto è stata lanciata una petizione online che chiede alle istituzioni di rimodulare il calendario scolastico italiano. Calendario che, a quanto pare, è il più lungo d’Europa (insieme alla Danimarca) con 200 giorni di lezione, ma ha anche la pausa estiva più lunga (insieme a Lettonia e Malta) ed è uno dei sistemi più stressanti del mondo perché concentra eccessivi carichi di lavoro nello stesso periodo di tempo.

Io mi limito a raccontare ciò che osservo in questi giorni, tra baci e abbracci, foto di rito con lo zainetto da postare sui social, post strappalacrime sui bimbi che crescono. C’è voglia di ripartire. C’è voglia di esperienze e di cose belle. C’è bisogno di socialità, di inclusione vera. Mia figlia, 8 anni, mi raccontava ieri di una compagna che ha passato l’intera estate a casa, senza poter frequentare cre o campi estivi, senza andare in vacanza. Una bimba con genitori che non possono aiutarla a trovare attività stimolanti sul territorio alle quali partecipare e che non sanno nemmeno cosa siano i compiti estivi. Come lei tanti. Si sopravvive, certo che si sopravvive. Ma nel 2023 così si accresce in modo drammatico il divario tra chi può e chi non può, tra chi andrà avanti e chi resterà indietro. Salvo poi provare a colmare il gap ripartendo a scuola, per l’ennesima volta, con addosso tre mesi di opportunità abissalmente diverse anche per compagni che frequentano la stessa classe.

Polemiche a parte, viva il nuovo anno scolastico. Finalmente si riparte, le cose da fare sono tante, i buoni propositi non mancano. I miei, ovviamente. Perché i miei figli non paiono sentire tutta questa necessità di riflessione e poesia. “Che meraviglia bambini, non siete felici? Avete davanti un nuovo anno, chissà quante cose imparerete, quante gite farete, quanti nuovi amici conoscerete. Avete qualche sogno particolare che vi piacerebbe realizzare? Qualche buon proposito?”. “Mamma, è già tanto che tutte le mattine ci alziamo presto e andiamo a scuola”. Beh, come inizio è ottimo direi.