Agnes Heller al BergamoFestival: “I muri dell’Europa sono fatti di stereotipi. I cittadini non possono davvero decidere, perché non vengono informati”

Basta un breve scambio di battute per rendersi conto della grande energia che, nonostante gli 86 anni suonati, ancora sprigiona Ágnes Heller. Filosofa e pensatrice, tra le più grandi menti del panorama europeo, è stata illustre ospite del Festival della cultura di Bergamo FARE LA PACE lo scorso venerdì 6 maggio. E chi meglio di lei – sopravvissuta all’Olocausto e autorevole osservatrice dei grandi cambiamenti storici del secolo scorso – può parlare di “Muri che si alzano e confini che si dissolvono”, tema scelto per questa edizione del Festival.
Heller, nata e residente in Ungheria; quell’Ungheria che lo scorso settembre, per volontà del primo ministro Viktor Orbán, ha eretto una barriera di filo spinato lunga 175 km al confine con la Croazia e la Serbia per contrastare il flusso di migranti. Gentilmente ci concede un’intervista che riportiamo integralmente.

Lei che ha vissuto da vicino la vicenda del muro anti-migranti, ci racconta di cosa accade in Ungheria?
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E’ un’alleanza di 4 Nazioni: Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia. Di base è un problema politico. È una scelta che mette in discussione la democrazia liberale perché è in conflitto sia con i diritti umani che con quelli del cittadino. Il potere usa come pretesto quello di difendere i diritti del cittadino, ma nel concreto non lo sta facendo affatto perché sono i diritti stessi del cittadino che stanno cambiando. Ci sono dei leader che esprimono una sorta di odio contro lo straniero facendo leva sul rischio di infiltrazioni terroristiche nel proprio Paese. La realtà è che, in questo modo, i cittadini non possono realmente decidere perché essi non vengono informati nel modo corretto in merito a come il governo e i suoi apparati gestiscono l’emergenza migranti. Così facendo la propaganda nazionalista diventa una vera e propria arma contro i migranti che veicola il pensiero del popolo».

Quindi il primo problema riguarda i diritti del cittadino?
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La gente dovrebbe avere il diritto di decidere. Ma per farlo in modo corretto bisogna informarsi, bisogna sapere di cosa si sta parlando. Se non hai alcuna informazione a riguardo, se hai solo la macchina della propaganda che ti ripete costantemente “Loro sono pericolosi. Sono terroristi. Sono islamici che vorrebbero introdurre la Sharia”, se ti basi solo su queste informazioni di propaganda arrivi a perdere la capacità di decidere razionalmente».

E’ quanto meno singolare il fatto che nello stesso anno in cui Papa Francesco indice il Giubileo straordinario della Misericordia – con un particolare focus sulla parabola del buon samaritano e sulla necessità di farsi prossimi – c’è qualche politico (non solo in Europa) che alle richieste di aiuto e di asilo risponde innalzando muri di filo spinato. Secondo Lei quale delle due strade prevarrà nel futuro prossimo? Quella indicata da Papa Francesco o quella, meno auspicabile, di chi erige muri fomentando odio e discriminazione?
«Questo non possono dirlo, non si può fare una profezia che dica quello che accadrà in futuro. È una questione di scelta, di alternative: ognuno sceglie una strada piuttosto che un’altra. No, io credo che Papa Francesco, con le sue parole, rappresenti un’universalità e questo non perché io voglia definire ciò che è cattolico universale, ma perché si rifà ai temi umani universalmente validi e riconosciuti. Diversamente i nazionalismi non rappresentano in alcun modo un’idea universale.
 Non so rispondere alla domanda, non so quale delle due parti vincerà in futuro».

Lei ha scritto che “la persona rispettabile e retta si assume la responsabilità verso coloro i quali sono nel suo raggio d’azione, in favore dei quali o contro i quali può fare qualcosa”. Alla luce di queste sue parole e di quanto sta avvenendo dobbiamo dedurre che molti degli uomini che governano l’Europa non siano affatto persone rette e rispettabili?
«Non solo non sono persone rispettabili, non sono neanche persone oneste. Una persona onesta sente una sorta di responsabilità nei confronti degli altri; questo senso di responsabilità non può essere esclusivamente una messinscena recitata nel momento in cui il problema è nel nostro raggio d’azione. Per contro però, non possiamo pensare di aiutare gente lontana da noi, il cui volto ci appare solo tramite la televisione. Ma in questo caso i migranti vengono a bussare alle nostre porte: li vediamo, vediamo i bambini, vediamo gente che disperatamente ci chiede aiuto. Sono nel nostro raggio d’azione e possiamo aiutarli, possiamo decidere come farlo. È un fenomeno interessante, in Ungheria accade questo ad esempio: se provi a chiedere agli ungheresi se vogliono accogliere o meno queste persone la risposta è ‘No’, sostengono il primo ministro Orban. Ma nel momento in cui i migranti arrivano in Ungheria, quando li vedono camminare tra di loro, centinaia e centinaia di persone accorrono per portargli acqua, cibo, coperte. Questo perché li vedono e non possono tollerare che bambini muoiano di fame o soffrano».

I migranti che scappano dalle loro terre pensano all’Europa come ad una sorta di “Terra Promessa”. Tuttavia basta guardare le immagini dei campi di rifugiati a Lesbo o a Idomeni per capire quanto la situazione sia ben diversa da quella che loro si aspettavano: bloccati, separati dai familiari, quasi abbandonati al loro destino. Per certi versi ci si trova di fronte quasi ad una disumanizzazione degli uomini e dell’individuo. Viene dunque da interrogarsi rispetto a come l’Europa – patria della liberté, égalité, fraternité – stia rispondendo alle richieste di aiuto.
«È molto difficile perché in Europa vi è la presenza di Stati-Nazione. Lo ripeto spesso: per uno straniero non è affatto facile integrarsi in uno Stato-Nazione. Essi si trasferiscono in un Paese nuovo, che ritengono migliore rispetto al loro, perché ha una Costituzione, perché ha una legge da seguire. Ma nessuno si interessa di come stanno qui, di come parlano e di che lingua utilizzavano nel loro paese. Gli europei, storicamente, pensano che lo straniero abbia l’obbligo di diventare come noi se vuole rimanere qui, deve assimilare la nostra cultura. Questa è la difficoltà a cui devono far fronte gli stranieri: essere assimilati dalla cultura locale o essere discriminati e rifiutati. Questa e la storia dell’Europa e non si può tornare indietro in 5 minuti; questa è la storia che è maturata già a partire dagli inizi del XX secolo e la Prima Guerra Mondiale non è una cosa che si dimentica in 10 anni».

Quali sfide attendono l’Europa nel prossimo futuro? Lei è ottimista o pessimista?
«Questa probabilmente non è la domanda giusta perché fa riferimento a una questione psicologica del singolo. Qualcuno è ottimista, qualcun altro è pessimista, questo non cambia per nulla il futuro. Bisogna essere realisti: le alternative ci sono e vanno trovate. Non si può cambiare il passato e non si può inventare il futuro; per quanto riguarda il passato non abbiamo più alternative, ma per quanto riguarda il futuro ne abbiamo eccome. Siamo di fronte a delle scelte, ciò che sceglieremo avrà delle conseguenze sul nostro futuro. Questo dipende da tutti, a partire dal singolo, dalla Nazione, dalla popolazione europea, dai singoli leader. L’Europa deve scegliere e solo in seguito vedremo le conseguenze di queste scelte».

Quindi dipende da quello che la gente vuole?
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Non necessariamente: dipende da quello che la gente fa nel concreto. Quando nel 1914 la gente scelse di entrare in guerra si è commesso quello che io definisco come il peccato originale della storia dell’Europa. Pensavano fosse una guerra piccola, di pochi mesi e invece è stata un passaggio cruciale della nostra storia. Bisogna pensare razionalmente, sapendo che ogni nostra decisione avrà delle conseguenze che peseranno sul nostro futuro».

Foto di Margherita Farina