Dal Marocco a Casnigo, la storia della famiglia Bourifa. Nora racconta: «Tra i primi ad arrivare in Val Gandino. Mio padre parlava in dialetto bergamasco»

La storia della famiglia Bourifa, arrivata in Val Gandino dal Marocco, è un bell’esempio di integrazione. Tutto incomincia all’inizio degli anni Settanta, quando di stranieri in Italia se ne vedevano pochi, soprattutto nei piccoli paesini di provincia bergamaschi. In Italia Tahar Bourifa decise di fermarsi proprio per questo motivo, perché non c’erano molti stranieri: dopo aver lasciato Casablanca e girato diversi Paesi europei – Francia, Spagna, Portogallo, Belgio -, la scelta cadde su Casnigo. Certo all’inizio non fu semplice: solo, viveva in un piccolo capanno degli attrezzi, ma poi grazie all’aiuto di diverse persone riuscì a sistemarsi pian piano e divenne una persona nota in paese, tanto che a distanza di 12 anni dalla sua morte, è ricordato ancora con affetto. A parlarci di lui è la figlia minore Nora, l’unica della famiglia nata e cresciuta in Italia: «Mi ha sempre detto che si sentiva trattato come un re. C’è stata moltissima solidarietà da parte di tutto il paese. Mio padre era molto attivo nella vita sociale del paese: è stato presidente dell’oratorio, ha formato una squadra di calcio femminile, allenava i ragazzi del Casnigo e di Gazzaniga. Quando poteva, aiutava i compaesani marocchini. Frequentando molto il paese, parlava quasi esclusivamente il dialetto casnighese. Mi diceva che era faticoso nonostante tutto stare in un Paese diverso dal suo, ma che poteva andare in giro a testa alta». La famiglia Bourifa, che si compone, oltre a Tahar e a Nora, della moglie Milouda, il figlio Migidio, noto atleta, e la figlia Fatiha, decide di convertirsi dall’Islam al cristianesimo. Tahar è l’ultimo a fare questo passo: nel 1992 viene battezzato, prendendo il nome di battesimo Benedetto. «Io sono l’unica della famiglia nata qui, questa è la mia terra. Quando andavo a scuola mio padre voleva insegnarmi il dialetto marocchino, ma io mi sono sempre rifiutata perché i compagni mi prendevano in giro, mi facevano sentire diversa e volevo parlare solo italiano per non essere discriminata. Lui di questo soffriva. Frequentavo molto l’oratorio: partecipavo alle varie feste, prendevo parte alle recite inoltre facevo la chierichetta e cantavo nella corale della Chiesa. L’oratorio in quegli anni era un punto di riferimento molto sentito. Passavo molto tempo anche alla scuola materna del paese, dove le suore organizzavano diverse attività». «Mio padre ci teneva molto – conclude Nora – che frequentassimo la Chiesa e andassimo a messa la domenica. Gli piaceva stare in mezzo alla gente e sapeva farsi amare: mai sentito un commento negativo su di lui. Dava molto rispetto e voleva essere rispettato. Mi raccomandava che l’importante nelle vita è di non rubare, non far del male alle persone e non parlare male della gente, poiché se lo si fa, è come fare del male a noi stessi, poiché siamo tutti fratelli. Per lui Dio, che sia chiami in questo modo, Allah o Buddha, era sempre lo stesso».