Gli ado al campo estivo. Una palestra di relazioni

Foto: don Alberto Varinelli con un gruppo di adolescenti di Telgate

“Buon campo don”, “buona vacanza”, “buon lavoro”, “dormirai poco”, “beato te”. Queste e tante altre ancora sono le espressioni principali che mi sento rivolgere dalla gente alla vigilia della partenza di un campo con bambini o adolescenti. Ciascuna affermazione porta in sé qualcosa di interessante e un fondo di verità.

Il campo. Che ci andiamo a fare?

Ma, in concreto, a questi “campi”, ossia a questi giorni di vita comune in un luogo altro rispetto al nostro paese, che ci andiamo a fare? Dal mio punto di vista, a sperimentare una palestra di relazioni. Uscire di casa, vivere con altre persone giorno e notte, faticare insieme, giocare, rispettare le basilari regole di convivenza, tenere tutto in ordine: sono finestre aperte sul futuro di responsabilità che attende gli adolescenti e i giovani delle nostre comunità.

Un’impresa: armeggiare una scopa

In particolare, vorrei concentrarmi su due aspetti che meritano di essere posti in rilievo. Il primo: la scoperta dei piccoli gesti necessari alla quotidianità. È bello vedere i nostri ado armeggiare con una scopa: per qualcuno l’utilizzo di questo strumento è più complesso di un esercizio di analisi matematica. Eppure, durante i campi, si ha l’occasione di scoprire che “il piccolo principe” esiste solo nelle favole, che la casa non si pulisce da sola, che il compito di dare dignità a un ambiente non è riservato esclusivamente alla mamma, magari dopo ore di lavoro.

Sono piccoli gesti, come possono essere il preparare la tavola e il lavare i piatti, che permettono di imparare a sporcarsi le mani, a rendere effettive le parole sul dono di sé e sulla condivisione che spesso ci vengono facili, ma che non sempre superano l’esame della pratica.

L’altro c’è

Insieme a questo, un altro aspetto mi sembra essenziale: la presenza dell’altro. Non si tratta qui di fare filosofie, seppur utili e belle, sull’altro da sé senza il quale non si dà identità per nessuno.  Nemmeno occorre teorizzare ipotesi nuove sull’interpellanza che l’altro costituisce per il sé. Si tratta, molto più semplicemente (almeno in teoria), di accorgersi che l’altro c’è! Se affronto una salita con una buona gamba e mi accorgo che il mio compagno fatica e perde terreno, la presa in carico di questa situazione diventa per me l’azione più importante alla quale dedicare impegno.

Il Vangelo si fa carne

Ci accorgiamo, allora, che i campi sono un’opportunità splendida di pratica del Vangelo. La Parola, per essere Vangelo, ossia lieta notizia per l’uomo, deve farsi carne. I campi con i nostri ragazzi, ovunque siano, al mare o in montagna, servono a questo, a dire che si può vivere il Vangelo, pur con tutti i limiti e le fatiche che ciascuno porta con sé. E allora ben venga il dormire poco e qualche mal di testa: saranno sempre nulla in confronto alla gioia che, alla fine, ciascuno si porta a casa.