Adolescenti violenti e la questione del dolore

Credo abbiamo letto tutti la cronaca di questi giorni, o abbiamo visto telegiornali, ascoltato trasmissioni radiofoniche o visualizzato post sui social networks. Non si è parlato d’altro.

Alcuni adolescenti hanno commesso un crimine gravissimo, quale lo stupro di ragazzine. Sono notizie che colpiscono, sia per la giovane età delle vittime sia perché i crimini sono commessi da loro coetanei o quasi.

Personalmente, accanto al dolore per questi episodi, dolore che si è intensificato anche per altri episodi di violenza che si sono verificati nella nostra città di Bergamo, ho provato una sensazione di forte dispiacere anche per l’atteggiamento di alcuni adulti nel dare lettura di quanto accaduto.

Soprattutto, sono rimasto basito dinanzi alla superficialità con la quale alcune persone, anche con incarichi importanti a livello di istituzioni civili, hanno fornito “proposte” che, secondo loro, porterebbero a una riduzione del problema (se non a una completa soluzione).

Innanzitutto ritengo inaccettabile che chi si definisce cristiano e appella alla “tradizione cristiana” a ogni piè sospinto possa giungere a invocare la pena di morte per chi si macchia di un reato come lo stupro.

La soluzione del problema dell’adolescente che, non conoscendo il rispetto per l’altro, fa uso del suo corpo come fosse un semplice oggetto, è l’eliminazione fisica del reo? Siamo seri quando facciamo queste affermazioni? Non meno problematica è la proposta della cosiddetta “castrazione chimica”: l’idea di somministrare farmaci finalizzati alla cura per finalità coercitive o punitive mi sembra aberrante.

In particolare, non trovo nella proposta un minimo di intenzionalità educativa: i farmaci in questione nulla potrebbero, in ogni caso, contro la devianza, la mancanza di educazione e di sviluppo della coscienza morale, la tendenza ad attuare comportamenti violenti.  Pertanto, non la ritengo una valida soluzione.

Mi è sembrata molto interessante, invece, l’osservazione avanzata da alcuni psichiatri, che hanno messo in relazione la psicologia di chi commette questo genere di reati (persone che, alla fine, diventano a loro volta vittime, pur configurandosi come “carnefici”) con la questione del dolore.

In concreto, qualche psichiatra propone di mettere le persone che hanno usato violenza fino allo stupro a contatto con l’esperienza del dolore. Ad esempio, il giudice potrebbe disporre di destinare per un periodo prolungato questi adolescenti a servizio di un centro per persone che hanno subito violenze: il contatto con loro, l’ascolto delle loro storie, la percezione della profondità delle loro sofferenze, può far sì che queste esperienze, adeguatamente rilette a più livelli e con diversi sguardi competenti, entrino a far parte del vissuto di chi ha fatto del male, dando la possibilità di integrare nella propria personalità la questione del dolore subito e agito.

Solo questa, credo, può essere una via buona per un cammino rieducativo che, mostrando il male commesso e il dolore provocato, possa permettere a queste persone di prenderne coscienza e di imparare una gestione di sé e del rapporto con gli altri diversa.

Certo, fin qui si è parlato di interventi a posteriori. Decisivo, però, è che tutte le agenzie educative collaborino per lavorare sul livello che, credo, sia quello più urgente e decisivo: quello della prevenzione.

Occorre mettere in atto tutto il possibile perché in ogni esperienza, dalla scuola, allo sport, ai percorsi negli oratori e nei centri aggregativi di ogni genere, vi sia la possibilità di trasmettere i valori del rispetto dell’altro in tutte le sue dimensioni. L’educazione civica deve permeare ogni esperienza ed ogni insegnamento, senza ridursi a qualche ora del curriculum scolastico. Su questo, nessuno può chiamarsi fuori: è compito di tutti, ed è urgente mettersi al lavoro, prima che sia troppo tardi.