L’estate finisce, ricominciano gli impegni. E in famiglia scoppia la bufera. Genitori a caccia dell’empatia perduta

Ed ecco di nuovo settembre. Le famiglie si preparano (con una certa mestizia) a riprendere gli impegni con i ritmi infernali dell’autunno, compresi la scuola e gli impegni pomeridiani dei figli.
Non è detto che la vacanza sia stata rilassante per genitori impelagati nella complicata gestione di figli adolescenti, ma proprio le lunghe pause estive portano alla maturazione dei buoni propositi per il futuro. Tra le promesse fatte a se stessi, dovrebbero esserci la cura del percorso dei figli orientata all’autonomia e dell’educazione affettiva, nonché il conseguimento di soddisfacenti risultati scolastici. Obiettivi ambiziosi e niente affatto slegati tra loro.
I genitori nell’espletare la propria missione educativa attraversano bufere ormonali e viaggiano oggi sempre di più controvento. Gli psicologi, infallibili guru in campo educativo, snocciolano lezioni sull’importanza dell’empatia nelle pratiche educative. Empatia che dovrebbe essere reciproca tra genitori e figli. Facile a dirsi, ma…
L’adolescente tipo, in genere, staziona sul divano o si chiude nella propria stanza per un numero imprecisato di ore e con la testa china sullo smartphone (ormai sua estensione anatomica a tutti gli effetti), compie riti misteriosi e inaccessibili. Chiede la paghetta mensile ma non aiuta in casa, deve essere continuamente sollecitato, contesta orari e regole.
Qualche anno fa alcuni neuroscienziati inglesi dello University College of London hanno studiato la disposizione di adolescenti e adulti ad essere altruisti. Dalla ricerca è emerso che l’area della corteccia prefrontale, associata all’empatia e alla comprensione delle motivazioni degli altri, è di gran lunga più funzionante negli adulti mentre è quasi inattiva nei teenager. Pare quindi che l’egoismo sia in parte un fattore legato allo sviluppo evolutivo del cervello. Anche in Michigan, alcuni studiosi hanno indagato le radici profonde dell’empatia negli adolescenti, concludendo che i giovani di oggi sono molto meno empatici rispetto alle precedenti generazioni.
Ma perché i giovani di oggi sono meno capaci di provare empatia? Forse perché non ne hanno bisogno. Nella società in cui viviamo si tende molto all’accudimento più che all’educazione e spesso l’accudimento si protrae ben oltre il dovuto e che non evolve mai in emancipazione, degenerando nella ben nota sindrome del “bamboccione” intorno ai trent’anni. Pare che la difficoltà a “immedesimarsi” nei panni altrui e a rielaborare il vissuto altrui siano la diretta conseguenza di una serie di ragioni: il diffuso uso dei videogiochi e l’esposizione quotidiana a immagini ad alto tasso di violenza, la tendenza generalizzata a isolarsi nella realtà virtuale e nei social, l’elevato tasso di stress a cui siamo sottoposti e che ci induce ad agire più che a riflettere.
Questo deficit crescente di empatia è allarmante. In Danimarca, nelle scuole sono state avviate delle pratiche educative finalizzate allo sviluppo di questa capacità, la cui carenza danneggia non semplicemente la sfera relazionale degli individui. Lo psicologo statunitense Martin Hoffman la pone al centro di un modello finalizzato all’acquisizione della coscienza morale (individuale e collettiva). Soltanto una sana interazione tra aspetto emotivo e cognitivo dell’empatia può consentire, spiega Hoffmann, un processo di reale ed efficace crescita dell’essere umano. In questo processo l’età compresa fra i 9 e 15 anni rappresenterebbe una tappa fondamentale.