Gli orti urbani. Tanti piccoli appezzamenti vicini, un unico respiro.

Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi”. In questa poesia, che fa parte della raccolta “Ossi di seppia”, Eugenio Montale fa comprendere la sensazione di beatitudine che offre lo stare in riposo, all’aperto e in luogo ombroso presso un muro di un orto.

Un orto che si può coltivare anche in città, come sta accadendo da alcuni anni in Italia. Sono 21 milioni i cittadini che coltivano un pezzo di terra, popolo pacifico con il pollice verde che, armato di vanga e rastrello, ridisegna spazi di verde nel suo territorio urbano contribuendo la crescita delle relazioni sociali delle comunità, dal centro alla periferia.

 

Proteggere, custodire, valorizzare

Proteggere, custodire e valorizzare “sora nostra matre terra” cambiando positivamente il nostro stile di vita. A Bergamo Valentina Rinaldi coltiva quest’attenzione al territorio da anni, è una delle principali sostenitrici degli orti urbani a Bergamo e fa parte del gruppo di cittadini “Orti nel Parco”.

Valentina, laureata in Economia e Commercio, è una piccola imprenditrice. Realizza magliette e altri gadget che rappresentano opere d’arte, vendute nei bookshop dei musei. Di sé dice: «Non sono una brava ortolana ma grazie ai consigli degli altri ho ottenuto risultati straordinari».

 

L’esperienza degli orticoltori

Valentina Rinaldi racconta in prima persona la propria esperienza: «Nel 2013 era stato istituito un bando dal Parco dei Colli, area protetta di 4.700 ettari, che comprende la zona storica di città Alta e delle colline di Bergamo. Sono dieci i comuni all’interno del Parco dei Colli. In questa istituzione cittadina che fa parte del Comune di Bergamo era stata
destinata una parte di terreno del parco da coltivare a persone che fossero residenti all’interno del Parco dei Colli. Ne sono state scelte sedici, tra le quali anch’io, che non si conoscevano tra loro.

Ciascuno di noi aveva un appezzamento di terreno all’interno del Parco, si sono sviluppate nuove amicizie ed è nato un gruppo bellissimo, perché sensibilità diverse si sono trovate insieme a lavorare e a divertirsi avendo l’interesse per l’orticoltura in comune. Il bello è che nessuno di noi aveva mai coltivato la terra prima. Abbiamo iniziato e organizzato insieme tante cose. Un anno fa, nell’ottobre del 2016, è scaduto il periodo di concessione. Adesso stiamo aspettando la concessione di un nuovo appezzamento, in un parco pubblico denominato Parco del Quintino inaugurato nel
2009, situato tra i quartieri di Monterosso e San Colombano in Valtesse, dove già ci sono altri orti sociali che sono stati assegnati a singoli cittadini.

Lì ci sarà un’estensione in una vasta parte di terreno in una zona meravigliosa di verde di questo parco che lo renderà più vivace. Noi che facciamo parte del vecchio gruppo di Orti del Parco abbiamo deciso di partecipare al bando dei Beni comuni. Infatti, il Comune di Bergamo ha pensato che alcuni beni potessero essere gestiti dalle associazioni. Per farla breve si trattava di un avviso per la presentazione di proposte di collaborazione da parte di cittadini attivi, costituiti in associazione, per la cura, la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani.

Abbiamo scritto questo progetto a quattro mani, noi degli “Orti del Parco” insieme con quelli dell’Associazione “Pro Polis”. Abbiamo vinto grazie al progetto di coltivare ciascuno la sua porzione di terra con l’idea di scambiarci informazioni e anche di collegarci agli orti che già esistono nelle scuole e nei centri anziani. Diventare un punto di raccordo di tutte queste realtà. Creare progetti con l’aiuto delle assistenti sociali, fare in modo che l’orto gestito da un certo numero di persone residenti nel quartiere fosse un orto aperto, disponibile alle relazioni con gli altri. Al nostro vecchio gruppo (7/8 persone) si sono aggiunte otto persone e tutti insieme aspettiamo la primavera 2018 per riprendere in mano vanga e rastrello. Un anno intero senza orto è dura, siamo in crisi di astinenza, ansiosi di zappare nuovamente la terra».

 

L’orto come luogo d’unione e risorsa

Valentina è convinta che «ciò che accomuna noi cittadini/orticoltori è l’interesse alla cura della terra quale centro di attrazione attorno a cui tutte le persone e le famiglie possono gravitare, inteso come luogo in cui star bene, in cui ritrovare la memoria del proprio passato, in cui acquisire una visione del mondo improntata al rispetto del proprio ambiente di vita». Gli orti dunque sono diventati con il tempo una vera risorsa del territorio cittadino.

L’orticoltore per passione Ferruccio Castelli lavora presso una cooperativa sociale bergamasca e fa parte anch’egli del gruppo “Orti nel Parco”. Gli chiediamo se ritiene che l’orto urbano sia anche una risposta alle crisi economiche, spazio verde da cui partire verso strade nuove per iniziative economiche e commerciali. «In parte sì, -ci risponde- ci può essere anche quell’elemento. Conosco famiglie che attraverso la coltivazione dell’orto contribuiscono in maniera significativa al
bugdet familiare. Ma all’interno del nostro gruppo non è questa la situazione, lavoriamo l’orto non tanto per una valenza economica quanto per una valenza sociale, ambientale, umana. Però se ci penso, c’è una ripresa complessiva d’interesse intorno alle pratiche di coltivazione della terra che in parte può avere quel tipo di motivazione.

I nostri al Parco dei Colli erano piccoli appezzamenti, ciascuno di noi si occupava di un lotto della grandezza di circa 30 metri quadri, ciò che produciamo non basta certo al fabbisogno di una famiglia intera. Ma se uno è bravino ottiene dei buoni risultati». All’interno del suo spazio ogni orticoltore coltiva ciò che preferisce. «Al Parco dei Colli avevamo una coltivazione variegata, in ogni stagione si possono avere diverse tipologie di verdure, quello che coltivavo con maggior soddisfazione, per il tipo di terreno e per la maggiore esposizione climatica, erano le varietà di cavoli. Per quanto riguarda la frutta, qualcuno di noi aveva una zona riservata alle fragole. Non è facile rendere compatibile in 30 metri quadri frutta e verdura. Non potevamo piantare alberi, avrebbero fatto ombra agli ortaggi».

 

Un progetto pilota per la città di Bergamo

Anche Ferruccio è ansioso di ricominciare a zappare la terra insieme a persone con le quali ha già condiviso questa esperienza. «Il progetto che ci ha fatto vincere è un progetto pilota per la città di Bergamo per quanto riguarda il bando dei Beni comuni, il nostro sarà uno dei primi progetti a essere attuato. Abbiamo quindi sulle spalle e tra le mani una grande responsabilità, è importante che funzioni per lanciare ulteriormente questa nuova pratica che avvicina i cittadini all’ente pubblico. Altrimenti alcuni beni resterebbero inutilizzati. Occuparsi di un orto anche se grande solo 30 metri quadri significa occuparsi dell’ambiente».
Anche l’orticoltrice Rita Zippone, che lavora al Comune di Bergamo, ha fatto parte del gruppo “Orti nel Parco” con Valentina e Ferruccio. Anche lei aspetta il prossimo aprile per ricominciare con entusiasmo e orgoglio l’orticoltura. «La motivazione che ha mosso tutti noi di “Orti nel Parco” –ci spiega- è la passione e la cura per la coltivazione della terra. Ricordo che il requisito fondamentale previsto nel bando del “Parco dei Colli” era la partecipazione alle lezioni di
coltivazione biologica. Questo ha dato ai partecipanti una base comune da cui partire. Coltivare con agricoltura biologica vuol dire non usare pesticidi, farmaci e una serie di prodotti inquinanti per il terreno.

La cosa importante era quella di avere conoscenze comuni che ci hanno dato modo di entrare in relazione con la terra tutti insieme e con il medesimo rispetto. Di conseguenza ognuno aveva il suo “pezzettino”, uno attaccato all’altro. Vedendoli da lontano, sembrava di osservare un orto comune, sembrava quasi un unico respiro quest’orto. Il mio problema lo condividevo con il mio vicino, per esempio se si ammalava la mia piantina di pomodoro è ovvio che presto si sarebbe ammalata anche la sua.

 

Il legame profondo tra terra e uomo

Condividevamo i problemi cercando di risolverli. Adesso ricominceremo dopo l’inverno, stagione che non si presta per la coltivazione che è legata alle stagioni, cominciando in aprile inizieremo con tutto un altro tipo di orto, quello primaverile». Rita è convinta che terra e uomo abbiano un profondo legame, non c’è una separazione. «Quando curiamo la terra, curiamo noi stessi, creiamo in noi un benessere fisico, emotivo e spirituale proprio perché nel lavorare la terra, impieghiamo sia le mani, sia le emozioni se quello che facciamo ci emoziona e ci gratifica. Riusciamo anche a elevare il nostro spirito a quello che la terra è capace di insegnarci proprio con la sua antica saggezza. Imparare, fare esperienza dell’attesa, della pazienza nello scoprire come cresce un seme e come questo seme legato alla terra porti anche a scoprire il mistero della vita. Quindi ci porta a fare un’esperienza spirituale».

Coltivare un piccolo appezzamento di terreno ha un valore terapeutico. «Tre sono gli aspetti positivi: stare bene con se stessi, stare bene con l’ambiente e stare bene nella relazione con le altre persone». Facendo un piccolo bilancio dei tre anni passati a coltivare il proprio “pezzettino” di orto presso il Parco dei Colli, Rita usa il termine “sperimentare”. «Amo la sperimentazione, mi piace unire la teoria alla pratica. Ho provato l’orto sinergico, conosco l’agricoltura biologica e ho sperimentato soprattutto l’agricoltura biodinamica. Mi da molta soddisfazione partire dal seme, questo mi ha portato a conoscere un gruppo di cultura contadina nella quale sono entrata, che ha la missione di fondere e recuperare una serie di varietà di semi poco utilizzati, dispersi, antichi.

Ho sperimentato il mais, nel mio “pezzettino” di terra (circa 23 metri quadrati) ho piantato il mais spinato di Gandino che è meravigliosamente cresciuto! Allora ho raccolto le belle pannocchie di questo mais di colore rosso, l’ho fatto macinare in un piccolo mulino a mano di proprietà di miei amici. Con la poca farina ottenuta ho raccolto a ottobre circa 700 grammi di farina. In inverno ho cucinato la polenta integrale, scura e l’ho fatta assaggiare a mio figlio il quale è rimasto stupito che potesse esistere una polenta di quel colore e sapore. La cosa più bella è stata aver sensibilizzato a un gusto nuovo mio figlio adolescente. Grande la felicità e la soddisfazione di coltivare il mais, esserci riuscita ed essermi prodotta un cibo a km zero. Partita dal seme sono arrivata alla polenta, riuscendo a recuperare dal seme la pianta», conclude Rita Zippone.