Pietro Gamba, da Bergamo alla Bolivia e ritorno: «Il mondo va un po’ aggiustato»

«Il mondo va un po’ aggiustato», sospira Pietro Gamba. E in quelle parole, che dal Sudamerica riecheggiano a Bergamo, c’è un cammino incredibile di vita, in fondo però nemmeno così strano: era perito meccanico ed è diventato medico, e ora «ripara» vite e anime. 1975: Pietro Gamba ha vent’anni, è un giovane di Stezzano con un diploma in tasca che parte per la Bolivia, a Challviri a 3.800 metri d’altitudine, per tre anni di servizio come missionario laico. Lì, la scintilla scocca: la sua vita è quella, al servizio degli altri, degli ultimi. Tre anni dopo torna in Italia – a Padova – con un obiettivo, laurearsi in medicina per poi tornare in Sudamerica. Ce la fa, con il massimo dei voti nel minimo del tempo. Poi riparte e inizia a scrivere le pagine di una vita che è una testimonianza: ad Anzaldo, sulle Ande nel dipartimento di Cochabamba, apre un ospedale che ancora oggi è un punto di riferimento – e di salvezza – per chi ha poco e ha bisogno di molto.

La storia di Pietro Gamba è diventata un libro: El Gringo Loco (Edizioni San Paolo), scritto da Antonio Voceri, giornalista mantovano autore di diverse pubblicazioni, già inviato del Corriere dello Sport e che oggi si occupa di editoria per l’infanzia. Lunedì 26 novembre l’autore e Pietro Gamba hanno dialogato con monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, in un incontro organizzato dall’associazione culturale Il Greto.

«A Challviri mi ci portò padre Angelo Gelmi: con lui ho avuto un’intesa immediata, anche lui cercava la semplicità e la profondità delle cose – ha raccontato Pietro Gamba -. Sono andato nel mondo dei poveri, con i poveri, per conoscere come vivono, ma anche per conoscere me stesso: che cosa posso fare e dare, che cosa mi chiede il Signore. Ma Challviri, dove mi sono fermato tre anni, ha significato anche l’arrivo a una decisione. Inizialmente dovevo fermarmi tre anni, poi tornare al Patronato San Vincenzo, e non avevo altre cose nella testa; quando ho conosciuto la realtà di Challviri, ho iniziato a interrogarmi. Il 5 febbraio 1978, quando don Bepo si spegne, nel mio diario scrissi: forse oggi è importante la scelta che devo fare, diventare medico e tornare qui per svolgere un servizio. Così iniziò una nuova parte della mia vita». Il rientro in Italia, a Padova, per una sfida con se stesso: laurearsi appunto in medicina. Ce la farà, superando ogni difficoltà. Quindi appunto il ritorno in Bolivia, ad Anzaldo, per dare vita a quell’ospedale che ancora oggi è fondamentale. Lì s’intrecciano storie di dolore, ma anche di vita e di speranza. Come quella recente di Elias, un giovane in gravissime condizioni, un esempio tra gli infiniti volti incontrati negli anni: «Elias è un giovane di professione tassista – è il racconto del dottor Pietro Gamba -. Ad Anzaldo lo porta un altro tassista, che lo aveva visto imprecare, chiedere a Dio di portarselo via per il troppo dolore: Elias soffriva di un gravissimo scompenso cardiaco, gli rimaneva poco tempo, occorreva un intervento. Ma l’operazione era molto costosa, servivano quindicimila dollari per sostituire le valvole cardiache. Avevamo bisogno di raccogliere quei soldi nel più breve tempo possibile. Allora la sera stessa ho scritto una lettera a dieci persone, compreso il nostro vescovo Francesco: il giorno dopo quei soldi già c’erano, perché la generosità è sempre grande, ed Elias s’è salvato. In questi esempi trovi tante risposte: la forza generatrice del Vangelo, la grandezza del Signore. Che cosa provo quando salvo una vita? Queste cose non si riescono a spiegare…».

Andare nei luoghi della sofferenza. Il dottor Pietro Gamba lo fa da decenni. Oggi, l’attualità porta con sé le polemiche – gli insulti, soprattutto – rivolti nel crudele mondo dei social a Silvia Romano, la giovane milanese rapita in Kenya dove è volontaria di una Ong: «Del bene nel mondo c’è un gran bisogno. Chi parte volontario lo fa per aiutare gli altri, arricchendosi solo di emozioni, per trovare qualcosa in più nella propria esistenza. Quei commenti, quegli insulti, sono fuori luogo».

«Una storia di spessore, serietà, fede»

«Quando parliamo di Pietro Gamba, parliamo di una vita non comune», è l’opinione del giornalista Antonio Voceri, autore del libro El Gringo Loco che ne racconta la storia: «Quarant’anni della vita di Pietro Gamba sono duecento anni di una vita comune. Questo testo è in realtà un lavoro collettivo, il frutto di una grande collaborazione con Pietro. Abbiamo provato ad andare a fondo per capire ciò che ha mosso Pietro, ne è venuto fuori il romanzo di formazione di un giovane che affronta un’avventura inimmaginabile».

A firmare la postfazione è monsignor Francesco Beschi, che con Pietro Gamba ha intessuto nel tempo una profonda amicizia: «Essere vescovo di Bergamo vuol dire poter conoscere un territorio molto più ampio di quanto ci dicano i confini della carta: le missioni fanno parte del nostro territorio, sono luoghi dove la presenza è radicata da decenni. E prosegue: la scorsa settimana un giovane prete è partito per la Costa d’Avorio, ora un altro sacerdote è in partenza per Cuba – ha sottolineato monsignor Beschi -. In Bolivia, i missionari bergamaschi operano da più di cinquant’anni: quando vado in quelle comunità cattoliche mi sembra di essere a casa, perché il vescovo di Bergamo è sempre considerato un amico. La storia di Pietro Gamba la sentiamo molto nostra, dentro c’è una vicenda di spessore. È il racconto di una serietà che diventa sorriso per gli altri, profondamente intrecciata con la fede. Ad Anzaldo, nell’ospedale costruito da Pietro Gamba, l’uomo viene riconosciuto anche se è uno sconosciuto».