Orfani di femminicidio: le violenze lasciano il segno

Non ci sono numeri esatti, ma loro esistono, figli invisibili di una società che invece di prendersene cura spesso li dimentica. Sono i cosiddetti “orfani speciali”, gli orfani di femminicidio, bambini normali a cui all’improvviso viene stravolta la vita. Come Marco e Luisa: i nomi sono fittizi, ma la storia è reale ed è raccontata dall’associazione il Giardino Segreto – che riunisce un centinaio di famiglie affidatarie di questi orfani di femminicidio – durante il webinar organizzato da Regione Lombardia e Inner Wheel Club di Monza sul tema.
La loro madre aveva messo fine a un matrimonio dopo anni di maltrattamenti, dove il marito era geloso del legame madre/figlio, e si avventava anche sul piccolo, con male parole e spaventandolo con il fuoco. Marco, 6 anni e Luisa, 3 anni, stavano tornando a casa con la loro madre. Trovano la porta aperta, a Marco era sembrato di vedere l’ombra del padre. Quest’ultimo si avventa con un coltello sulla madre, colpendola più volte e dirigendosi verso i figli. Marco riesce a scappare a casa della vicina, salvando se stesso e la sorellina dalla furia omicida del padre. Marco per molto tempo ha paura delle ombre, paura che il padre possa uscire dal carcere e finire il massacro. Spesso pensa che avrebbe potuto salvare anche la sua mamma, se solo le avesse detto di aver visto quell’ombra in casa. I nonni materni si sono ritrovati senza la loro primogenita, senza la possibilità di elaborare questo lutto, con due nipoti piccoli da crescere.
Si sono spesso sentiti soli, senza una rete di aiuto, con la paura di non farcela. I nonni paterni vogliono incontrarli, dicono che ognuno ha le sue colpe. Marco a volte si arrabbia, teme di diventare come il padre. Ha dovuto cambiare scuola, veniva etichettato come il “figlio dell’assassino”. Nella nuova classe è riuscito a raccontare la sua storia e, quando la maestra ha chiesto ai suoi compagni di descrivere un eroe dei tempi passati o attuali, un suo compagno ha scritto che Marco era il suo eroe, per aver salvato la sorellina. “Cosa serve a Marco e ai bambini come lui – si interroga Emanuela Iacchia, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva -? Un aiuto immediato, qualcuno che ascolti il loro dolore e delle famiglie affidatarie. Bisogna creare una rete di supporto psicosociale e un supporto alla genitorialità”. Tra il 2000 e il 2014 sono stimati a 1.600 questi orfani speciali. A luglio, dopo due anni, è finalmente entrata in vigore la legge 4/2018 che prevede un aiuto economico alle famiglie affidatarie: un contributo mensile di 300 euro per ogni minore in affido,rimborsi per le prestazioni sanitarie e assistenziali (soprattutto sedute psichiatriche, di cui la totalità degli orfani hanno costante bisogno), borse di studio, agevolazioni per l’inserimento nel mondo del lavoro. “È stato fatto molto – commenta Patrizia Schiarizza, avvocato, fondatrice e presidente de Il Giardino Segreto, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Questi bambini hanno subito un trauma che lascia senza parole anche noi. Il sistema sanitario nazionale, quando deve prenderli in carico, spesso fissa i primi appuntamenti a quattro mesi dal fatto, ma c’è la necessità di essere ascoltati e accuditi nell’immediato. Manca inoltre una continuità, spesso le persone di riferimento cambiano. Bisogna lavorare molto sulla presa in carico, formazione e competenza”. E prosegue: “Come collettività dobbiamo imparare a mettere il naso all’interno delle mura domestiche, quando ci sono indicatori di violenza e di maltrattamenti infantili: non è un affare privato, ma riguarda tutti noi, è qualcosa che ha ripercussioni sull’intera società. La violenza si apprende, il bambino in futuro la reitererà”. Come Andrea, che aveva 4 anni quando il padre uccise con 38 coltellate la madre, davanti ai suoi occhi, trascinandola poi in un fiume. Il corpo venne ritrovato solo un mese dopo e si capì che il bambino aveva assistito al femminicidio solo attraverso i suoi disegni. Non fu affidato subito alla nonna materna perchè non ne aveva le condizioni economiche e così gli ultimi 14 anni li ha passati tra diverse case famiglia. Ora, a 18 anni, ha un’aggressività che fa fatica a gestire. “Quando si parla di maltrattamento all’infanzia – continua – lo Stato deve intervenire, ma anche la collettività deve farsi carico di questo bambino. Le famiglie affidatarie non devono essere aiutate solo economicamente, ma bisogna creare una rete di presenza. L’obiettivo è renderli visibili, non chiamarli più ‘orfani speciali’ perché hanno gli stessi diritti degli altri, devono diventare come gli altri bambini”. Per fare in modo che Andrea, Marco, Luisa, e tutti gli altri non siano più invisibili.