Richiedenti asilo: la pandemia ha rallentato i progetti di integrazione

Foto di Giovanni Diffidenti

Di loro non si sente parlare quasi più, spariti dall’agenda politica, (ri)diventati invisibili. Ma la loro presenza, seppur diminuita, non è venuta meno. Sono i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale presenti sul territorio di Bergamo, e che hanno anche loro subito le conseguenze della pandemia. Il progetto Sai (Sistema di Accoglienza e Integrazione, ex Sprar) del Comune di Bergamo, gestito dal Consorzio Solco Città aperta, non si è fermato nell’ultimo anno e mezzo, anche se i percorsi di integrazione e inclusione sociale – lavorativa hanno subìto un rallentamento, mettendo in stand by progetti ben avviati, e generando negli ospiti un senso di frustazione protattosi per diversi mesi. Durante il lockdown, per evitare contagi, inserimenti ed uscite dal progetto sono stati bloccati. « Oggi si è tornati a una qualche forma di normalità – spiega Maria Sole Luperto, coordinatrice del progetto -, ma lo scorso anno abbiamo dovuto riassestare il progetto in una fase che era d’emergenza per tutti, intervenendo su ogni fronte per poi strutturarsi sempre più gradualmente ». Trentotto le persone coinvolte nel progetto (34 uomini e 4 donne), tra cui 4 richiedenti asilo (arrivati a fine dicembre 2020 direttamente dopo il viaggio intrapreso attraverso la rotta balcanica) e i restanti titolari di una protezione internazionale, con un’età compresa tra 18 e 40 anni.

Informazione e sensibilizzazione sul Covid – 19 con l’aiuto dei mediatori

Inizialmente l’intervento dell’équipe educativa ha riguardato l’aspetto informativo : « Ci siamo mossi sia per quanto riguarda gli aspetti di mera informazione, che di sensibilizzazione al tema, per dare ai ragazzi consapevolezza su tutti i livelli. Con il supporto dei mediatori è stato tradotto del materiale inerente alle disposizioni normative ed igienico sanitarie e si sono organizzati degli incontri, da remoto, in base ai diversi gruppi linguistici, in cui un medico ha spiegato i vari segnali d’allarme e le misure precauzionali da tenere ». Un grosso cambiamento, l’essere seguiti da remoto e non più in presenza, che ha modificato anche la relazione tra gli ospiti e gli educatori : «Durante i colloqui i ragazzi esprimevano timori, paure e frustrazioni del momento. In un certo senso è come se fossero entrati in casa nostra. Il problema più grande è stato gestire una frustrazione a 360 gradi: chi stava svolgendo un tirocinio l’ha dovuto interrompere; chi lavorava è stato lasciato a casa oppure è stato messo in cassa integrazione. Abbiamo quindi lavorato sul sostegno e sul sopporto alla motivazione, all’utilizzo del tempo libero per un progetto e un miglioramento personale e si sono messe in campo diverse strategie per la gestione della vita quotidiana. Non è stato semplice garantire la tenuta motivazionale nel lungo periodo. Anche la Dad ci ha messo di fronte a una serie di limiti : sopratutto i richiedenti asilo appena arrivati hanno dovuto acquisire una certa dimestichezza con la tecnologia e nel periodo estivo si è notato come alcuni avessero peggiorato il loro livello di conoscenza della lingua italiana, non per mancanza di impegno, ma per strumenti non adeguati in quel momento. Da questo punto di vista si è lavorato sull’acquisizione delle competenze informatiche ». Essendo Bergamo fortemente colpita dalla prima ondata, la paura ha colpito anche loro: « Una sensazione legata allo sentirsi spaesati di fronte a qualcosa di cui non si sapeva granché, a cui si andava ad aggiungere la preoccupazione per le famiglie d’origine lontane. Ma tutti hanno mostrato grande maturità nel comprendere le motivazioni delle restrizioni ». 

Le ricadute positive : rafforzamento dei legami e miglioramento di alcune capacità

In tutto questo, ci sono stati anche dei risvolti positivi, sia per gli operatori che per i beneficiari del progetto : «Sono stati mesi in cui abbiamo dovuto appellarci alla nostra creatività, sperimentare, fare tentativi, alcuni andati subito bene, altri che hanno previsto ulteriori aggiustamenti. Per i ragazzi, l’aver imparato ad usare alcuni strumenti informatici li ha resi più autonomi e ha implementato la loro capacità di ricerca lavoro. Senza contare un aspetto molto importante: il consolidamento di alcuni legami, l’essere accomunati da una situazione d’emergenza li ha fatti mettere in gioco sia come individui che come gruppo. Se nel tran tran quotidiano si ritrovavano solo per mangiare o durante il week end, si sono ritrovati a stare insieme tutto il giorno e ognuno ha messo a disposizione degli altri le proprie competenze: chi tagliava i capelli, chi aiutava i compagni con i compiti di italiano. Oltre ad aver compreso l’importanza di tutelare la propria salute e quella di chi vive assieme a loro, un aspetto non scontato».

Foto copyright Giovanni Diffidenti