Le suore delle Poverelle: “La pandemia ha fatto emergere il disagio dei giovani”

Suor Carla Fiori e suor Debora Contessa a Villa Plinia per il convegno delle suore delle Poverelle

“Dove altri non giungono, cerco di fare qualcosa io, come posso”: le parole di San Luigi Palazzolo, fondatore della congregazione delle suore delle Poverelle sono oggi particolarmente attuali e si traducono nelle azioni concrete di chi ne ha raccolto l’eredità: lo si è sentito nei giorni scorsi nel convegno “In ascolto degli invisibili…per includere ciascuno” che si è svolto a Villa Plinia, a Bergamo. Erano presenti religiose e laici all’opera in una trentina di realtà gestite dalla congregazione in tutta Italia: servizi di assistenza nelle carceri, case di accoglienza a bassa soglia, gruppi attivi nelle periferie, da Scampia a Ponticelli alle “Case bianche” di Milano.

“È uno spazio di approfondimento e condivisione – spiega Debora Contessa, suora bergamasca ora in servizio a Scampia, che ha coordinato l’incontro – quest’anno segna un’importante ripresa dopo due anni di sospensione a causa della pandemia”. 

Ascoltare è il primo passo per l’inclusione

Anche il tema scelto si arricchisce di suggestioni e stimoli nati proprio dalla pandemia: “Questo periodo – sottolinea suor Debora – ci ha fatto capire quanto sia necessario e importante ascoltare le persone, in particolare le più fragili, per favorire esperienze di inclusione”.

Le suore, all’opera anche a Bergamo con tante attività, dal servizio al carcere femminile alla Comunità il Mantello, dall’Opera Bonomelli a Casa Samaria, negli ultimi anni sono comunque rimaste al loro posto, sempre presenti, accanto agli ultimi: “Eravamo, se possibile – continua suor Debora – ancora più esposte per non lasciare sole le famiglie e le persone più fragili in un momento di grave emergenza. Abbiamo condiviso con loro la situazione di rischio, precarietà e fatica”. 

Se le Comunità e le case di accoglienza sono state costrette a chiudersi, fuori il lavoro è stato più intenso: “Le religiose – sottolinea suor Carla Fiori, madre provinciale della congregazione – hanno svolto un lavoro più intenso accanto alle famiglie, soprattutto al Sud”.

Aprire lo sguardo su chi “è rotto dalla vita”

Nel convegno si sono alternati momenti di approfondimento e testimonianze. “L’inclusione – dice monsignor Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli – è possibile solo se il nostro sguardo è capace di andare oltre e di penetrare nel cuore della vita”. Tocca alla comunità civile, quindi a tutti, come sottolinea suor Debora, “la responsabilità di vedere chi è rotto dalla vita e mettersi in gioco per riattivare la speranza attraverso processi condotti insieme insieme. Il primo passo è osservare con attenzione e poi mettersi in gioco per organizzare la speranza attingendo a una follia corale fatta d’amore. È importante lasciarsi toccare, provocare per primi dalla sofferenza e stare accanto a chi non ce la fa, ha bisogno di promozione e di riscatto”.

Nei lavori di gruppo le religiose e i volontari hanno avuto la possibilità di concentrarsi sulle priorità e mettere a punto una linea comune. Per tutti resta aperto un doppio fronte: stare con gli ultimi e allo stesso tempo sensibilizzare le comunità. 

Superare i pregiudizi per “organizzare” la speranza

“Possiamo farlo – sottolinea suor Carla – attraverso il volontariato, testimonianze, esperienze. Non è facile, soprattutto quando parliamo del carcere, una realtà che crea pregiudizi e atteggiamenti di rifiuto che rendono difficile l’inclusione. Ci sono tante persone in carcere che hanno commesso piccoli reati ma si trovano prive di mezzi e di aiuti perché non hanno alle spalle una famiglia. Per contribuire a riabilitarli e a offrire loro una seconda possibilità bisogna creargli intorno una rete di solidarietà e sostegno, che in genere nasce dal passaparola. Niente può accadere senza un tessuto sociale sensibile”. 

La pandemia ha fatto emergere nuove forme di povertà, e non tutte hanno a che fare con le risorse economiche delle famiglie: “C’è anche il dramma della povertà educativa – osserva suor Debora, acuito da questo periodo, anche a causa della didattica a distanza. Il disagio giovanile e adolescenziale si sta manifestando in tanti modi. Si avverte in modo particolarmente forte nelle periferie, ma anche nelle città, ovunque. Il covid ha contribuito a portare a galla tante difficoltà già preesistenti e tipiche di questo sistema sociale che non fa i conti con i bisogni più profondi delle persone, dei ragazzi. Le persone hanno bisogno della nostra attenzione e cura prima che delle nostre cose. Finché il sistema sarà questo – come dice Papa Francesco – ci saranno sempre più espulsi e invisibili”.