Sempre più poveri

Dopo cinque anni, la crisi è sempre un’emergenza. Lo dicono i dati del Fondo famiglia-lavoro della Caritas diocesana bergamasca. Siamo solo alla fine di ottobre, ma le persone ascoltate sono già 819 rispetto alle 679 dell’anno scorso. «Siamo partiti nel 2009 – spiega don Claudio Visconti, direttore della Caritas diocesana -, con l’idea di chiudere questa iniziativa del Fondo entro un paio d’anni. Ma la situazione col tempo è peggiorata». Rispetto al 2009 le richieste d’aiuto sono quasi raddoppiate. «Più di tutto – sottolinea don Claudio – manca il lavoro, continuano ad arrivare notizie di fabbriche che chiudono».

E non è soltanto questo: nella vita quotidiana la gente sente la fatica in molti modi, e a soffrirne sono soprattutto le persone più fragili, quelle che non hanno una rete familiare su cui contare, né competenze e flessibilità tali da riuscire a ritrovare un posto dopo essere stati «tagliati fuori».

«La situazione – aggiunge Ivano Stentella, vicedirettore Caritas – si è talmente incancrenita che difficilmente chi cade riesce a risollevarsi». Gli immigrati restano la maggioranza delle persone che chiedono aiuto, ma anche gli italiani aumentano, sono arrivati circa al 30% del totale.

UN APPELLO ALLE COMUNITÀ

«L’aiuto del fondo dura circa un anno – osserva Ivano -. Poi cerchiamo di affidare queste persone alle comunità di origine, e comunque di non lasciarle sole». È una situazione, quindi, che interpella tutto il territorio, e in particolare le comunità parrocchiali con un ruolo da protagoniste. Sono tanti i fattori in campo: un impoverimento generale, che riguarda un po’ tutti, e poi una maggiore fragilità delle reti familiari. «La crisi – dice don Claudio – fa emergere le difficoltà». A un livello sociale più generale la forbice si allarga: «Chi sta male – chiarisce Ivano – vive una precarietà sempre più grave. Fra l’altro aumenta il costo della vita, e noi quest’anno abbiamo cercato di aumentare l’importo dei contributi che diamo, ma bisogna fare i conti con i numeri». È stato anche avviato con la Banca Popolare un progetto mirato a intervenire per sostenere chi non riesce a pagare l’affitto ma è in una situazione di difficoltà momentanea e ha comunque un reddito: «È un modo – osserva don Claudio – per evitare a famiglie che attraversano un periodo di crisi di scivolare in una situazione da cui poi diventa difficile recuperare. È un sostegno, non assistenza, perciò viene pagata solo una parte dell’affitto, a patto che anche la famiglia contribuisca, e così nel frattempo evitiamo il rischio che possa perdere la casa».

IL RISCHIO CULTURALE

C’è un rischio, oggi, anche culturale: la povertà genera paura, e la paura paralizza la solidarietà e mette un’ombra sul futuro. Così le difficoltà diventano ancora più grosse per chi non ha niente e rischia di non trovare più nessuno a cui rivolgersi, nessuna porta a cui bussare. «Questo invece – dice don Claudio – è proprio un momento in cui bisognerebbe essere vicini e mettersi in moto, ognuno come può, per dare una mano, per avviare iniziative mirate a risollevare chi soffre di più». Per sostenere le attività del Fondo Famiglia Lavoro della Caritas, che interviene in molti modi, ci vogliono ottocentomila euro all’anno: «Chiediamo a tutti di aiutarci perché sia possibile portarlo avanti anche per il 2014». Se tutti i prezzi aumentano, per molti diminuisce invece il salario: qualcuno ha perso anche metà dello stipendio, sono stati attivati tanti contratti di solidarietà. «C’è un rapporto stretto – aggiunge Marco Zucchelli, sociologo e referente per le politiche sociali della Caritas – tra povertà e livello culturale e sociale: la maggior parte delle persone che scivola fuori dal sistema produttivo ha un livello di formazione e di professionalità basso, per la maggior parte operai con un diploma di scuola media. Rispetto a Milano da noi finora la crisi non ha messo sulla strada artigiani e commercianti». Quasi il 70 per cento delle persone che hanno avuto accesso al fondo della Caritas sono operai, per il resto ci sono impiegati, addetti alle pulizie, badanti, colf, commesse, autisti. «Nella metropoli sì ­– continua Marco -, queste categorie sono arrivate al 15-20 per cento del totale. Fanno sicuramente fatica le persone impegnate in particolare nel settore edile, ma in generale il livello è medio-alto, molti hanno accantonato dei risparmi e per ora riescono a fare fronte a un momento di difficoltà. Colpisce il fatto che la crisi abbia fatto emergere gli aspetti peggiori delle relazioni tra persone, abbia fatto crescere la diffidenza, la difficoltà di concedere credito». Non tutte le conseguenze della crisi sono comunque negative: «C’è stato in generale un ridimensionamento degli stili di vita, prima a volte sbilanciati verso un consumismo esasperato».

LAVORO E IDENTITA’

Il lavoro è un aspetto importante per l’identità delle persone: «Ed è vero – sottolinea Marco Zucchelli – soprattutto qui in Bergamasca, e si capisce quindi anche quanto sia difficile per chi lo perde chiedere aiuto. Il lavoro è anche un elemento in grado di far crescere la speranza verso il futuro». Ecco perché si concentra qui uno degli sforzi più importanti della Caritas, che negli ultimi tre anni è riuscita a creare grazie al fondo (offrendo sgravi fiscali alle aziende) un centinaio di posti. Ma a questa ha affiancato anche tante altre azioni, dal sostegno alle famiglie con bambini piccoli che non riescono a pagare le rette scolastiche ai microprestiti, dai buoni alimentari al pagamento delle bollette o delle cure mediche. Il lavoro resta comunque il cuore del problema: «Saremmo ancora disposti a fare nuovi inserimenti – conclude don Claudio – ma per ora di nuovi posti non se ne vedono».

PER APPROFONDIRE

L’intervista al sociologo Stefano Tomelleri su crisi, lavoro e famiglie
Il progetto «L’inverno meno freddo» della Caritas di Romano di Lombardia
Lo spettacolo di Bertolino «Casta Away» per aiutare il Fondo di solidarietà Famiglia – Lavoro