Nuovi confini

Allargare i confini di una comunità, farla diventare più grande, non è solo una questione di chiese e oratori, locali che si possono usare, non è solo il numero dei preti (che un po’, è vero, diminuisce). È proprio il volto della Chiesa che cambia, che si adatta, come spiega monsignor Lino Casati, vicario episcopale per le unità pastorali, alla vita e alla cultura contemporanea, costruendo sulle fondamenta già poste dal Concilio. Nella nostra diocesi l’anno prossimo dovrebbero essere formalizzate sei nuove unità pastorali.
«È una prospettiva che parte da lontano – dice – se ne parla in tutta la Chiesa italiana, e non solo qui da noi. Le prime ipotesi si facevano già vent’anni fa, anche se il lavoro sul campo qui è iniziato con forza nel 2008, quando sono state costituite tre unità pastorali: in Val di Scalve, nella Bassa Val Serina e in Valle del riso. Sono l’espressione di una figura di parrocchia sulla quale il sinodo aveva ragionato: aperta, con una spiccata dimensione missionaria, sensibile alla cultura che cambia e alla modalità delle persone, pronta ad attivare collaborazioni su aree critiche come l’area giovanile e scolastica, il lavoro, le principali questioni sociali e parrocchiali».

L’unità pastorale è un progetto che poi va realizzato nel concreto, a partire dalla realtà e dalla vita delle comunità: «I modelli – continua monsignor Casati – non sono universali e non sono esportabili dappertutto. Le parrocchie vengono mantenute e conservano il loro valore di cellula base del territorio ma sono chiamate ad agire e a lavorare in una forma diversa, aperta al territorio e alle altre comunità cristiane, spesso comunque all’interno dello stesso comune».
Tra le parole chiave di questo processo di trasformazione ci sono «fraternità» e «comunione» intesi come stili e valori di fondo: le attività abituali della parrocchia si realizzano in collaborazione con altre persone, ci sono rapporti più intensi tra i gruppi e le iniziative di parrocchie vicine.

Il passaggio a unità pastorale, la crescita delle collaborazioni, sono mezzi per aiutare la parrocchia ad assolvere compiti più impegnativi. «Ma sono anche forme e modi – chiarisce monsignor Casati – per vivere dimensioni simboliche che hanno un senso preciso e non sono solo funzionali». Nella realizzazione dell’unità pastorale queste forme di collaborazione tra parrocchie, che magari già prima esistevano in forma embrionale o limitate ad alcune esperienze diventano organiche, stabili, all’interno di un disegno elaborato e condiviso, vengono riconosciute e istituzionalizzate.
La diocesi di Bergamo ha messo a punto un documento che contiene le linee essenziali per la realizzazione dell’unità pastorale, si chiama «Instrumentum laboris»: «È un documento – sottolinea monsignor Casati,  elaborato in diversi passaggi prima dal consiglio presbiterale, poi dal consiglio pastorale e per alcuni mesi da un’apposita commissione: quindi è un lavoro collegiale, e non è un direttorio, ma un insieme di criteri, un punto di partenza che contiene alcuni strumenti. I criteri di fondo sono quelli ma i modelli che ne risultano sono anche molto diversi fra loro».

Possono essere diversi i modi in cui i preti operano e sono presenti nelle unità pastorali: «Alcune hanno un solo parroco, altre più di uno e lavorano insieme magari specializzandosi in ambiti diversi. Possono esserci dei vicari interparrocchiali (che quindi non sono i classici “curati” di una volta assegnati a una sola comunità). Uno di questi preti ha l’incarico di moderatore dell’unità pastorale e di referente presso il vescovo». Accanto ai preti lavora un’équipe pastorale mista di cui fanno parte, accanto ai sacerdoti, i religiosi e le religiose presenti sul territorio, i diaconi e alcuni laici, in rappresentanza di ognuna delle parrocchie. Il loro compito è impostare le linee fondamentali del progetto che guida la vita delle unità pastorali. Formano un organismo permanente da rinnovare ogni cinque anni.

Terzo elemento è quindi il progetto: «Ci dev’essere un’omogeneità di fondo nell’impostazione della catechesi, nello stile liturgico. Il timore delle parrocchie è quello di essere assorbite o fagocitate dalle parrocchie più grandi. In questo modo insieme vengono individuate direzioni che valgono per le realtà più grandi e quelle più piccole, importanti anche per le singole parrocchie, distinguendo ciò che si fa singolarmente e insieme, distinguendo compiti e ambiti».
È vero che sacerdoti diminuiscono: «Ma questa deve diventare un’opportunità, un’occasione per dare ancora più valore alle comunità e ai ministeri delle persone, con una responsabilità più diffusa».

Sarà costituita una commissione che avrà il compito di seguire chi ha già iniziato il cammino verso la costituzione dell’unità pastorale e chi lo inizierà in futuro. Si prestano a costituire un’unità più grande piccole parrocchie vicine che magari insistono sullo stesso comune e hanno già avviato una collaborazione, o che comunque hanno una storia condivisa. «Uno dei criteri di fondo è comunque la gradualità – sottolinea monsignor Casati ­-. Il nostro cattolicesimo è molto parrocchiale ma l’idea non è accorpare le parrocchie. L’unità pastorale le salvaguarda nei limiti del possibile. L’idea non è unificare nel senso di far coincidere ma creare unità rispettando le diversità». Ovviamente ci vuole tempo.

PER APPROFONDIRE

L’esperienza delle parrocchie di Verdellino e Zingonia, dove convivono persone di 60 nazionalità diverse.
Le parrocchie di San Filastro e di Sant’Andrea formano una sola comunità allargata.