Schiave sulla strada

Sono ragazze da venti-venticinquemila euro al mese. Le prostitute sono «oggetti», punto di forza di un business molto redditizio: schiave portate qui dalla Nigeria o dall’Europa dell’Est, a volte con l’inganno, spesso minorenni. Clandestine, irregolari, esposte a rischi sanitari, senza sicurezze. Guadagnano tanto, anche mille e cinquecento euro al giorno nei fine settimana, soldi che vanno a ingrossare il bilancio delle organizzazioni criminali, dei “protettori”.

E tra loro ci sono però anche brutte storie di persone costrette sulla strada dalle difficoltà economiche: donne italiane che hanno perso tutto per colpa delle slot machine o che si sono ritrovate in situazioni economiche disperate e non sanno come sostenere le spese familiari.

Così, vedendole sulla strada, è però facile dimenticarsi che sono anche persone. È facile usarle semplicemente come “bersaglio” su cui sfogare le frustrazioni quotidiane, la rabbia, il rancore: «Noi andiamo a incontrarle – spiega don Gian Paolo Carrara, fondatore dell’associazione Gedama, che fa volontariato di strada sulle rotte più battute della prostituzione bergamasca – cerchiamo di offrire loro ascolto. Gli offriamo la possibilità, se lo desiderano, di cambiare strada». Con don Gian Paolo e suo fratello, che hanno trasformato la loro casa in un’opera di carità, dando vita nel 2006 alla Fondazione Gedama, c’è un gruppo di una ventina di volontari: «Giovani, padri di famiglia, religiose, gente che arriva da tutta la provincia per darci una mano».

«La mia esperienza – racconta don Gian Paolo – è iniziata nel 1998, quando ero parroco a Morengo: mi ero fermato a offrire un passaggio a una ragazza nigeriana che faceva l’autostop andando al lavoro. Mi ha raccontato la sua situazione, la sua era una storia molto sofferta, mi ha colpito profondamente. Così ho iniziato a frequentare la strada come azione di carità personale».

Dopo qualche anno è nata Gedama: un’unità di strada, e accanto ad essa una casa famiglia e un gruppo di famiglie che aiuta le prostitute che desiderano allontanarsi dalla vita di strada a conquistare l’autonomia.

«I nostri sono progetti molto piccoli – sottolinea don Gian Paolo – dobbiamo fare i conti con le disponibilità che abbiamo, anche dal punto di vista economico. Cerchiamo di lavorare per la sensibilizzazione del territorio, ci proponiamo anche alle scuole e alle parrocchie con attività informative. Cerchiamo di capire qual è la situazione e lo sviluppo del fenomeno, e di dare una mano».

L’“unità di strada” esce sul territorio per quattro volte alla settimana, con turni durante il giorno e la sera. «Cerchiamo di instaurare con le ragazze una relazione di aiuto, di fiducia – spiega don Gian Paolo -, per questo è importante che abbiamo sul territorio una presenza regolare. Poi cerchiamo di informare sulle opportunità che la legge offre: per esempio quella di accedere a programmi di protezione, di ottenere un permesso di soggiorno o di contare sul rimpatrio assistito. Poi lasciamo che quello che abbiamo detto sedimenti, che possano maturare una decisione. Ovviamente deve partire tutto da loro, non possono essere portate via dalla strada per forza».

Sulla strada ci sono tante situazioni diverse: «Incontriamo diverse ragazze minorenni (di quindici, sedici anni), che sono quelle che i clienti preferiscono. C’è chi arriva perché viene ingannato e messo a forza sulla strada. Per alcune ragazze le madame nigeriane usano degli stratagemmi: sono per esempio nella condizione di poter chiedere asilo politico, così hanno il permesso di soggiorno e neanche le forze dell’ordine possono avere qualcosa da eccepire. Ci sono poi ragazze che hanno ottenuto il permesso di soggiorno pagando da 3 a 5 mila euro persone che hanno fatto da prestanome. Sono ovviamente senza lavoro, hanno dovuto pagare anche tutti i contributi e quindi per sopravvivere e per pagare i debiti vanno sulla strada. Per esempio una minorenne ci ha raccontato di recente che deve alla sua madame 60 mila euro, oltre a questi, ci sono anche le spese vive mensili: l’affitto, le bollette, il cibo, le spese per andare al lavoro, le ricariche telefoniche. Per di più la famiglia d’origine pensa che queste ragazze siano in Italia con un regolare contratto di lavoro perciò chiamano per chiedere soldi. Per questo a volte le nigeriane accettano anche pochi soldi, seppure poi trovano dei sistemi per ottenere di più: passano per esempio la notte a casa di un cliente, così non restano fuori al freddo».

La prostituzione che arriva dall’Est funziona in modo molto diverso: «Queste ragazze sono cittadine dell’Unione Europea, perciò spesso in possesso di documenti regolari. Gli sfruttatori che sono albanesi e rumeni con la complicità degli italiani si presentano come benefattori perché le fanno lavorare a percentuale, le proteggono in strada e lasciano loro una certa libertà. Guadagnano molto, 400 euro nei giorni più fiacchi, fino a un massimo di 1.500 nei week-end. Sono ragazze sveglie, chiedono ai clienti di essere accompagnate in albergo, per questo guadagnano così tanto».

Non sempre l’unità di strada riesce a instaurare un contatto: «Qualcuna di queste ragazze – chiarisce don Gianpaolo – ha bisogno di soldi, deve lavorare e perciò se ne va. Ci dice subito che non ha tempo da perdere. Altrimenti ci fermiamo e a poco a poco chiacchierando nasce un po’ di confidenza. Anche i volontari sanno di poter porre gradualmente delle domande per far emergere la storia e il vissuto di queste donne. Ovviamente ascoltiamo anche tante bugie, perché le ragazze devono difendersi, non dicono il loro nome, l’età esatta. Di sicuro comunque per loro è importante il contatto umano. Cerchiamo di incoraggiarle gradualmente anche a percorrere strade alternative per avere una situazione personale regolare, accedere all’assistenza sanitaria, trovare un lavoro».

Non sono proposte facili da recepire: «Alle spalle – sottolinea don Gianpaolo – una ragazza nigeriana ha tutto ciò che l’ha coinvolta nello sfruttamento, anche il voodoo. Non è facile, fa parte della loro cultura, perciò uscire dal giro vuol dire venir meno a un patto che a volte è stato anche firmato dai genitori. Qualcuna ce la fa: è importantissimo il lavoro di strada, perché al di là delle informazioni sulla legge si instaura una relazione di aiuto continua che attende il momento giusto per dare buoni frutti».

I volontari della Gedama seguono tante e diverse rotte: dalla Malpensata alla Villa d’Almè-Dalmine, la Francesca, Chiuduno, Madone, Filago Brembate e Zingonia fino a Pontirolo. «Ogni serata – spiega don Gianpaolo – ha un suo percorso».

È un servizio che richiede prudenza e coraggio: «Sulla strada ci sono anche le madame nigeriane: sono donne spesso a loro volta sfruttate quando erano più giovani, e ora addestrano le nuove arrivate. Le vediamo, parliamo anche con loro, che in genere si comportano come le altre, senza dire nulla, ovviamente, di quello che fanno in realtà. Vediamo anche le auto con le persone che controllano le ragazze: in genere non ci creano dei problemi. Preferiscono agire a monte, dicendo alle ragazze che le associazioni sono inaffidabili, e che non le aiuteranno davvero».

Nel frattempo, ci sono alcuni grossi problemi: «Il primo sono gli aborti – afferma don Gianpaolo – che sono moltissimi tra queste ragazze, a volte praticati anche oltre i termini di legge, perché molti clienti chiedono rapporti non protetti. Poi la presenza delle minorenni, un problema molto grave di cui nessuno vuole farsi carico. Il terzo problema sono i clienti: molti sono bergamaschi. È vero che ce ne sono anche tanti che arrivano da fuori, tanti stranieri, però questo non basta a dire che non si tratta di un “nostro” problema sociale. C’è un po’ di tutto, persone di tutte le età e condizioni sociali, perfino i padri che accompagnano i figli, un po’ come capitava una volta».

Proprio perché sono sulla strada, le giovani prostitute sono più fragili e si trovano esposte a situazioni di ogni genere: «A volte i clienti si innamorano, portano a casa la ragazza, ma non appena rimane incinta la lasciano e lei si trova in una situazione di emarginazione peggiore di prima. Noi non vogliamo giudicare né le prostitute né i clienti. Certo ci sembra che ci sia un timore diffuso di affrontare il problema, nessuno ne parla volentieri. Non si pensa mai che se il mercato della prostituzione è così fiorente è perché la richiesta è alta, perché ci sono tanti clienti che riempiono di soldi le organizzazioni criminali».

Pochissime le prostitute italiane, anche se ogni tanto la crisi produce qualche caso eclatante: «Abbiamo incontrato anche un’italiana che ha bruciato tutti i suoi soldi con le slot machine e cerca di recuperare sulla strada quello che ha perso. Un’altra che va sulla strada perché il marito non lavora e il figlio ha dei seri problemi di salute: anche in questi casi non è una scelta».

Per chi vuole contattare Gedama: il numero è 3338929711.