Alle origini

Mons. Francesco Beschi è stato nominato vescovo di Bergamo il 22 gennaio del 2009. Ha fatto il suo ingresso in diocesi il 15 marzo successivo. A quasi quattro anni di distanza pensiamo utile per i nostri lettori cercare di capire più in profondità chi è il vescovo Beschi, quali sono le sue radici, i suoi gusti, le sue preferenze, i suoi modi personali e istituzionali di governare la Chiesa.

LA FAMIGLIA

La gente ormai la conosce. Ma la conosce per quello che dice e quello che fa. E quello che si dice e che si fa dipende dalle nostre lunghe storie personali. Vorremmo partire da qui. I suoi genitori. Verso papà e mamma, lei vescovo, di che cosa è debitore? Che cosa ha ricevuto da loro di fondamentale per la sua vita?

Quando penso ai miei genitori arrivo a capire che cosa è la riconoscenza. E la riconoscenza verso di loro è per me un debito felice. Ho ricevuto e sono felice di aver ricevuto. Nel molto che mi hanno dato c’è certamente la fede, vissuta in modi molto diversi in papà e mamma. La fede di mia madre era intuitiva, solida, portata immediatamente a operare. La fede di papà era più contemplativa, nutrita di interiorità e di ricerca. Diventata poi, soprattutto negli ultimi anni, assolutamente granitica.

Oltre alla fede, i miei mi hanno insegnato un vero e proprio culto dell’onestà, della totale trasparenza in tutto quello che facevo. Mi hanno insegnato anche l’apertura agli altri, legata nella vita di tutti i giorni: nella parrocchia, nello studio e nel lavoro, nei gesti quotidiani.

Vuole dirci qualcosa dei suoi fratelli? Se permette un po’ di curiosità: come si chiamano, cosa fanno? In che misura l’esperienza della sua famiglia ha lasciato traccia nella sua vita di prete e di vescovo?

Sono il primo di cinque fratelli, quattro maschi e una femmina, l’ultima. Francesco e Chiara, mia sorella: Papà e mamma erano molto devoti dei santi di Assisi. Tra di noi Paolo, Emmanuele, Vincenzo. Siamo cresciuti nel mondo della vita quotidiana per poi entrare nei mondi della musica, del cinema, della comunicazione e della scuola che sono diventati anche i nostri ambiti di lavoro. Ci vogliamo bene, siamo cresciuti nel rispetto delle scelte di ciascuno. Ci unisce l’affetto, oltre al senso della responsabilità e del dovere che ci hanno insegnato i nostri genitori.

Tutti noi abbiamo amici, persone con cui “ci troviamo bene”. Anche Gesù si trovava bene a Betania, nella casa di Lazzaro, di Marta e Maria. Vuole dirci qualcosa della sua personale “Betania”?

Per me l’amicizia è soprattutto una questione di delicatezza. L’amicizia, infatti, non è soltanto un rapporto amichevole, ma qualcosa di molto più impegnativo. Sacerdoti, famiglie, coppie… mi sono veramente amici. Spesso, con loro, ho la sensazione di non saper rispondere altrettanto generosamente a quanto mi viene donato. Anche qui, mi sento in debito. Come con i miei genitori.

Ricorda qualche tratto, qualche fatto particolare della sua vita dei primi anni?

Alcuni giorni fa mi trovavo alla “Peta” di Costa Serina. Dovevo parlare del coraggio. Non mi ero preparato a un discorso ben fatto e mi sono sottoposto felicemente alle domande delle gente che era venuta all’incontro. E ho raccontato un passaggio della storia della mia famiglia che mi è tornato prepotentemente alla memoria, perché legato alle vicende del mio predecessore Bernareggi, vicende che sono state rievocate nei giorni scorsi in occasione della nuova pubblicazione del suo “Diario”. Mio padre ha partecipato alla resistenza. Mio nonno aveva rifiutato di prendere la tessera del partito fascista e ha pagato duramente la sua coerenza. Aveva dieci figli, mio nonno. Non poteva essere licenziato per via della famiglia numerosa. Ma gli hanno fatto pesare lo stesso le sue scelte e ha dovuto, lui ferroviere, girare da un posto all’altro con tutta la sua numerosa tribù. Poi il fascismo e la guerra sono finite. Mio nonno ha fondato, allora, la CISL ferrovieri e, a quel punto, lui cattolico aveva qualche difficoltà in un ambiente dove il vento aveva preso a soffiare fortemente a sinistra.

LA FORMAZIONE

La sua vocazione sacerdotale è legata a qualche esperienza particolare, a qualche figura di sacerdote? Se sì, ce li vuole ricordare?

La mia vocazione nasce in parrocchia. Alcuni sacerdoti erano molto legati alla mia famiglia. Don Secondo Moretti, per esempio, era profondamente legato a papà e mamma. Ricordo ancora la scena curiosa di don Secondo che, impegnato in lunghe discussioni con i miei genitori, chiedeva di essere lasciato un momento solo perché doveva dire il breviario, come allora era di rigore, prima della mezzanotte. Per poi tornare a parlare e a discutere. La parrocchia della mia fanciullezza è stata S. Benedetto, nella periferia di Brescia. Il parroco era appassionatissimo della liturgia. Già prima del Concilio era in corso, nella mia parrocchia, una sperimentazione, credo autorizzata dai superiori: l’altare era, già allora, rivolto al popolo. Quando ho cambiato parrocchia, ho dovuto riprendere una liturgia che era meno aperta rispetto a quella che avevo vissuto nella mia parrocchia di origine.

La proposta esplicita di entrare in seminario mi è stata fatta da una suora. Mi ricordo molto bene. Eravamo al mare in colonia, durante l’estate. Una sera, a bruciapelo, la suora chiede: “Ma tu non hai mai pensato di entrare in seminario?”. Credo che tutto sia partito da lì, come la sorgente di un gran fiume, con tutte le decisioni che poi la vita mi ha chiesto. Ma quella suora e quella domanda non le ho più dimenticate.

Possiamo fare memoria locale agli anni della sua formazione, i primi anni, dalle elementari al liceo? Di solito la memoria delle esperienze formative dei primi anni sono legate a persone o situazioni. Lei ha qualche ricordo felice degli anni delle elementari, delle medie e delle superiori, figure di educatori o di insegnanti che hanno lasciato traccia nella sua vita? Chi sono e che cosa le hanno lasciato in particolare?

Ringrazio di questa domanda che mi permette di tenere vivi ricordi che, con il passare del tempo, rischiano di andare perduti. Ero il classico bravo bambino, il primo, quello che doveva dare l’esempio. Mi piaceva leggere. Ho letto molto, infatti, e i miei genitori favorivano quella mia propensione personale: Salgari, “L’isola misteriosa”, “il corsaro nero”… E poi le fiabe… Ho letto l’enciclopedia “Conoscere” dei fratelli Fabbri. Papà portava a casa il fascicolo tutte le settimane e io li leggevo. Li ho letti tutti. So di far sorridere, ma alcune informazioni culturali, ancora oggi, le devo a quella lettura della mia infanzia. Ho frequentato due diverse scuole, alle elementari e alle medie, ma tutte e due di metodo montessoriano. Anche questo mi ha certamente segnato, nel senso che mi ha lasciato la convinzione che la conoscenza va acquisita attraverso l’esperienza. Le maestre le ricordo molto bene tutte.

Ricordo anche la mia prima media – media statale: sono entrato in seminario con la prima superiore – e, in particolare, il professore di lettere, vero, grande educatore: ci ha preso da bambini e ci ha fatto entrare con molto tatto nell’adolescenza soprattutto attraverso il gusto forte e motivato della lettura.

Penso che dei molti i maestri della mia giovinezza i tratti che li accomunano sono soprattutto due: la passione per il loro lavoro e il rispetto verso noi alunni.

1. Continua. La settimana prossima l’intervista ricorderà gli studi di teologia, i fermenti del dopo Concilio, le figure di vescovi Morstabilini e Foresti, ambedue di origine bergamasca, che hanno governato la diocesi di Brescia nei primi anni di ministero di Francesco Beschi.