A casa in Africa

C’è un piccolo villaggio a Dar es Salaam, in Tanzania, in cui in questi giorni le feste di Natale hanno un sapore speciale. È il «Villaggio della gioia» fondato il 23 settembre 2002 da Padre Fulgenzio Cortesi, missionario passionista, che offre ai bambini orfani e di strada una seconda possibilità, attraverso un percorso educativo che ridia loro dignità e speranza, senza essere sradicati dalla propria cultura e tradizioni.

“Karibu” in lingua swahili significa “benvenuto”: ogni bambino nel villaggio si sente proprio così, accolto e circondato d’amore. “Ho centoventi figli – racconta Baba Fulgenzio, come viene affettuosamente chiamato, che nei giorni scorsi si trovava nella Bergamasca -, dai cinque ai sedici anni e me li ha regalati la Tanzania. Sono bambini che mi vengono presentati dalle istituzioni o dalla polizia e che arrivano da diverse parti del Paese”. Come le ultime due bambine, di sei ed otto anni, che vivevano a 2.500 chilometri di distanza e che hanno subito uno shock terribile: i genitori sono stati uccisi nella loro casa, davanti ai loro occhi. “Una tragedia infinita: non mangiavano né parlavano più. Dopo due settimane siamo riusciti ad integrarle nel villaggio ed ora stanno benissimo, hanno riacquistato serenità e gioia di vivere”.

Spesso alla porta del villaggio bussano anche delle signore, con appresso i propri nipoti: “Queste donne anziane – prosegue padre Fulgenzio – mi raccontano di aver bussato a tutte le porte, cristiani, musulmani, pagani, di tutte le religioni: chi ha dato un uovo, chi una manciata di riso, ma solo qui sanno che cresciamo i bambini nello studio e nella gioia”. “Deve essere molto grande il vostro Dio”, gli ha detto l’ultima nonna che si è presentata col nipotino. Altre volte Baba Fulgenzio ha dovuto portare i suoi “figli” in Europa, per poterli curare: tre anni fa, agli ospedali Riuniti di Bergamo, portò una bambina di sette anni, affetta da leucemia acuta. Dopo due anni di cura, un periodo in cui era stata data in affidamento ad una famiglia bergamasca, è guarita ed è potuta ritornare al Villaggio della gioia. Ed ora, in questo stesso villaggio, ha festeggiato il Natale insieme ai suoi fratelli e sorelle. Un Natale semplice e ben lontano dalle lucine colorate delle vetrine e dalla corsa last minute ai regali a cui siamo ormai abituati: “Vivere con loro il Natale è splendido, non è assolutamente il nostro Natale, pieno di corse e di regali. Ci sono anche quelli, ma sono molto modesti, come un libro, un cioccolatino. E’ un Natale semplice, vissuto nella gioia della preghiera, nel canto e nella danza. Alla vigilia si canta e si balla attorno al presepe e all’altare, poi ci si sposta nel salone delle feste, dove mangiamo delle focacce preparate da noi, cantiamo gli inni, si danza e gioca fino all’una di notte. Al mattino alla grande messa delle dieci si ripetono i canti e le danze. Da lì partono poi i piccoli sindaci di ogni casa-famiglia (il villaggio si compone di otto case-famiglia, ognuna dai 12 ai 16 bambini, ndr) con il proprio bambin Gesù del presepe, benedetto durante la messa”. Diversi i presepi allestiti nel Villaggio: uno in chiesa, uno in una capanna e uno per ogni casa-famiglia. Si premia il più bello attraverso un concorso. Ci si ritrova poi tutti per il pranzo, che consiste in riso bollito con un po’ di carne e poi al pomeriggio si va al mare. “Niente di eccezionale – prosegue Baba Fulgenzio -: questi giorni sono pieni di fervore per preparare i presepi, i canti per Gesù Bambino, nuove danze. E’ così: un Natale molto semplice, ma bello, vissuto proprio nella gioia della preghiera e della danza”.