Valori negoziabili

«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». Così Papa Francesco nell’ intervista a Civiltà Cattolica di qualche mese fa. Una presa di posizione questa – riferita in modo particolare ai cosiddetti “valori non negoziabili” , quei valori ai quali cioè secondo le posizioni ufficiali del magistero non è possibile rinunciare, anche sul piano della legislazione civile, senza mettere a repentaglio la tutela della dignità della persona umana e le basi del corretto articolarsi della vita sociale – che, soprattutto in terra americana, ha suscitato sconcerto e anche forti critiche. A noi ora interessare capire quanto la questione abbia inciso nel rapporto fede e politica nel nostro Paese.

 REDUCI DA UN PASSATO CLERICO-MODERATO

È sotto gli occhi di tutti che la grande stagione del personale cattolico in politica è al tramonto. Al di là del giudizio politico, Prodi è stato l’ultimo esponente di una storia che ha avuto una rilevanza centrale per il nostro Paese (da Sturzo a De Gasperi, da Fanfani a Moro). Vittima di una scelta clerico-moderata voluta e tenacemente perseguita, argomentata proprio a partire dai principi non negoziabili enunciati per la prima volta dalla Congregazione della Dottrina della fede nel 2003. L’importante Nota dottrinale sull’impegno dei cattolici nella vita politica diffusa nel 2003 parlava a questo proposito di «principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni e compromesso alcuno» e ne offriva, a dire il vero, un’elencazione più ampia: «Diritto primario alla vita dal suo concepimento al suo termine naturale», «tutela e promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico fra persone di sesso diverso», «garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli (come) diritto inalienabile», «tutela sociale del minore», «libertà religiosa», «sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune», «pace» (n. 4; Regno-doc. 3, 2003, p.71ss).

 IL VALORE DELLA MEDIAZIONE

L’orientamento che blocca ogni mediazione e negoziazione politica su pochi principi non evangelici ma di morale naturale è stato in più riprese autorevolmente riproposto e rilanciato . Eppure la mia convinzione è che il cristiano può fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – partendo da “valori non negoziabili” solo se pratica buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. Direi perciò che la costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i “valori non negoziabili”. Dunque, se è vero che vi sono presupposti etici che vanno assolutamente salvaguardati perché costituiscono il fondamento su cui si regge la vita democratica, dall’altro non possiamo né dobbiamo dimenticare che tutti i valori diventano in realtà negoziabili, sia perché si danno spesso situazioni nei quali essi entrano tra loro in conflitto, sia soprattutto perché l’attuale condizione di pluralisimo etico, con la presenza di sistemi valoriali diversi, impone la ricerca di un denominatore comune, il quale non può essere rintracciato che attraverso la mediazione.

Lo ricordava, con lucidità, Carlo Maria Martini in un discorso di sant’Ambrogio nel lontano 1996: «Non basta – avvertiva il cardinale – limitarsi a proclamare i cosiddetti “valori non negoziabili” ed esigere che la legislazione li promuova, se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse», se non si cercano strade politiche condivise. «Questo della mediazione antropologico-etica» – precisava – è forse uno dei lavori più importanti e urgenti per i cristiani impegnati in politica, ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, «devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili» .

Insomma, compito dei cattolici impegnati nella costruzione della città di tutti è di trovare il modo di mediare “laicamente” i valori nella società secolarizzata e pluralistica di oggi.

Ancora una volta, resta attualissima la lezione di Giuseppe Lazzati: per agire politicamente occorre “pensare politicamente”. La legittima formulazione dei principi da parte dei Pastori non può sostituire il discernimento dei credenti che, in quanto cittadini tra cittadini, sono chiamati a tradurre questi principi, nella città di tutti, in formule giuridico-politiche, tenendo conto di una serie di fattori contingenti e nel rispetto della dialettica democratica con soggetti di diversa ispirazione. Se questo non avviene, è impoverita la comunità cristiana (e la povertà non solo di un’opinione pubblica all’interno della Chiesa ma anche di un confronto e dialogo su questi temi lo stanno ogni giorno a dimostrare) e pure la comunità umana nella quale i cristiani vivono e operano.