Integrazione

La Giornata dei Migranti è sicuramente un’occasione per portare i temi legati all’immigrazione all’attenzione di tutti, ma non è solo questo: “E’ anche – sottolinea il direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale dei migranti don Massimo Rizzi – un’occasione per avviare un percorso, un progetto sul territorio”. Per questo la giornata è itinerante, non viene celebrata mai nello stesso posto. E’ il momento giusto per fare il punto su tutto quello che ruota intorno all’immigrazione, dai luoghi di culto all’accoglienza quotidiana, all’integrazione scolastica.

Negli anni scorsi per “fare il punto” sono state condotte delle ricerche quantitative, quest’anno invece è stata scelta una forma diversa, il “focus group”, cioè, come spiega Eugenio Torrese, dell’agenzia per l’integrazione, “al parroco e agli operatori della parrocchia, al sindaco, a soggetti attivi della comunità, agli immigrati è stato dato spazio per poter conoscere in modo approfondito quanto è stato realizzato nel territorio, formulare osservazioni e manifestare volontà”. Torrese tirerà le fila di questo lavoro nel corso del convegno di sabato a Trescore. “Questo metodo – chiarisce – ha aumentato le opportunità di ascolto, riflessione e confronto tra attori significativi del vicariato”. Tre mesi di lavoro per ottenere una base “su cui poggiare idee per un lavoro da proseguire”.

Chi sono i principali attori del processo di integrazione? La scuola e l’oratorio, prima di tutto: “Luoghi, cioè – osserva Eugenio Torrese –  che hanno non solo registrato la presenza di differenze linguistiche, culturali e religiose, ma non le hanno trasformate in linee di separazione. Sul territorio la Parrocchia e le Istituzioni hanno a loro volta avuto una presenza che ha salvaguardato il tessuto sociale, soprattutto in un periodo di crisi che per la prima volta ha riguardato l’Italia come paese di immigrazione. La metodologia utilizzata trova anche una ragione di applicazione nella convinzione che quando si parla di immigrazione e di italiani non sono in gioco solo le percezioni del momento, ma anche rappresentazioni e discorsi pubblici e privati. Tutto ciò  può a buon ragione essere inteso come un racconto sociale che attraversa il Paese e le comunità locali che lo compongono. Un racconto che ha luci ed ombre, generosità ed egoismo, aperture e chiusure. La cronaca si incarica di rafforzare linee di separazione che risiedono nella mente di tutti, italiani e stranieri, e che condizionano il pensare ed il fare”.
E’ il luogo dove nascono i muri, dove si creano fratture, a volte anche molto profonde: “Una di queste, che ha versioni soft ed hard, è quella tra Noi (italiani)  e Loro (stranieri). La versione soft non rinuncia al contatto e alla relazione evitando confusioni, quella hard considera le differenze delle vere e proprie trincee. Un esempio è costituito dal tema sicurezza: quella degli italiani, minacciata dagli immigrati. La sicurezza invece riguarda tutti, italiani e stranieri, ed è minacciata da chi commette reato, delinque o usa violenza, indipendentemente dalla nazionalità. Il contrasto è una salvaguardia per tutti. Un secondo esempio è rappresentato dalla fede professata: quella islamica è considerata nella versione soft troppo diversa dalla “nostra cultura”, nella versione hard invece è una minaccia ed una fucina di potenziali terroristi. Il Noi – Loro è il filo conduttore della trama del racconto, che fino ad oggi è stato scritto”.
Deve essere così per i prossimi anni? E l’unica strada percorribile? “Bisogna prendere atto – afferma Torrese – che le nostre comunità e l’intero paese, con intensità  e ritmi diversi, sono diventate multiculturali, multi linguistiche e multi religiose. Chi è leader in un territorio vive in questo nuovo paesaggio umano. Il sindaco non è il rappresentante legale degli italiani che gestisce, attraverso l’assessorato ai servizi sociali, i nuovi arrivati. Ma è diventato il primo di cittadini di origini diverse; in altre parole gli amministratori  rappresentano ed amministrano comunità certamente più complesse. Continuare a governare come in passato significa non prendere atto della realtà e dei suoi vistosi cambiamenti”.
Il cambiamento riguarda, in modo diverso, anche le comunità ecclesiali: “Per i Parroci – conclude Torrese – il discorso è diverso: occorre tenere presente che i cittadini sono fedeli che professano religioni che abbiamo sempre pensato come lontane, ma che ora sono rappresentate dal vicino di casa o dal concittadino che incontriamo al mercato. A questo proposito occorre tenere bene a mente una differenza tra i fedeli che professano la propria religione e le religioni in sé. Le pratiche, come avviene per i fedeli cattolici, non sono la traduzione letterale dei precetti, ma risentono di tanti fattori che producono un caleidoscopio di comportamenti ed una trasformazione delle pratiche. Insomma la nuova realtà ha già cambiato il panorama religioso ed i cambiamenti non sono finiti. Anatemi ed ostracismi rafforzano le distanze e creano tanti Noi a carattere religioso con  possibili conflitti. La comunicazione, il dialogo,  il contatto e la conoscenza sono gli elementi basici della comunità, ma non bastano. E’ necessario un impegno comune che non faccia diventare le differenze dei confini e faccia aumentare i momenti in cui la nuova comunità si riconosce. Per fare questo non si deve puntare su un Loro dialogante, ma abbassare le difese dei tanti noi, perché non c’è solo il Noi degli italiani, ma anche il noi di altre nazionalità che è separato dagli altri. E’ necessario quindi che il lavoro riguardi tutti, con diverso grado di responsabilità e possibilità. Le forme organizzate di questo percorso potranno essere individuate dopo il convegno, ma per iniziare bisogna fare il primo passo e questo è rappresentato dalla dichiarazione di una volontà di azione comune, che non si nasconde punti critici e difficoltà, ma decide di provare”.