Farmaci biotech

Se un qualunque risparmiatore italiano avesse investito tre anni fa, poniamo la cifra di 10mila euro in Bot (Buoni ordinari del tesoro) a un tasso medio dell’1,5%, oggi si troverebbe con un capitale finale di circa 10.470. Se invece avesse scelto di investire la stessa cifra in un fondo comune di investimento specializzato in società farmaceutiche che producono medicine biotecnologiche, nello stesso periodo di tre anni i 10mila euro sarebbero diventati oltre 25 mila. Il migliore di questi fondi (li citiamo non per fare pubblicità ma per dovere di cronaca), “Espa Stock Biotec” ha guadagnato il 172,29%; il secondo in graduatoria, “Franklin Biotechnology Discovery” è cresciuto di ben il 163,44%; e il terzo, fondo “Dexia Equities L. Biotechnology”, è aumentato del 159,73%. Risultati prodigiosi che, ovviamente, il resto dei titoli delle borse mondiali non ha potuto condividere: l’indice globale delle azioni di tutto il mondo, Msci World, nello stesso periodo è cresciuto “solo” del 24,19%, che comunque è di tutto rispetto, perché significa un 7% annuo composto. Ma cosa è avvenuto al settore farmaceutico biotech per garantire guadagni così ingenti?

L’esplosione della ricerca. La novità di questi ultimi anni è rappresentata da una esplosione di ricerche di medicine non più basate solo sul processamento di prodotti chimici assemblati in compresse o sciroppi o iniezioni varie, ma su farmaci nati da processi biologici, che puntano ad interagire con le diverse malattie, e ad attaccarle sul loro stesso terreno: il biologico, appunto. Un’attività di ricerca sempre più sofisticata permette di elaborare medicinali che non solo sono molto potenti e quasi “miracolosi”, ma anche capaci di produrre ritorni elevatissimi per le industrie che li hanno brevettati. Ad esempio, nella classifica dei farmaci best-sellers degli ultimi due anni figurano medicine quali l’Humira (anti-reumatismi e anti-infiammatorio) che ha incassato 10,6 miliardi di dollari. Embrel e Remicade, sempre anti-reumatici, hanno venduto per 8,7 e 8,4 miliardi. Il Seratide/Advair, contro l’asma, ha avuto vendite per 8,2 miliardi. E così via. Ovviamente gioiscono i colossi del cosiddetto “Big Pharma” mondiali che li producono: Abbvie, Pfizer/Amgen, Johnson&Johnson, Merck, GlaxoSmithKline, Sanofi ecc. Guadagni stellari, che si sono ripercossi sulle borse valori e sugli utili per gli azionisti. Recentemente in Italia si è parlato molto del caso del medicinale Sovaldi, per il trattamento dell’epatite C, prodotto da Gilead Sciences. Negli Usa costa 1.000 dollari a pasticca, e la cura completa 84mila dollari. Ma se salva una vita – ci si è chiesti da noi – perché la Sanità pubblica non lo adotta? Una risposta è nei disastrati bilanci delle Regioni, cui spetta la gestione della salute. Se pensiamo che un’altra azienda, la AbbVie, società biotech di Latina filiale della Abbot americana, sta lavorando a un analogo prodotto, allora si capisce perché le borse credono in questo settore e la gente investe fiumi di denaro. Il valore della vita merita bene una scommessa di borsa, e anche un investimento di lungo termine, che come si vede premia, eccome.

L’“orologio della vita”, 1 secondo in più ogni 4. Proprio su questi temi, col suggestivo titolo “Produzione di valore: l’industria del farmaco, un patrimonio che l’Italia non può perdere”, si è svolto a Latina venerdì 4 aprile un convegno con il meglio dell’imprenditoria italiana del settore. A promuoverlo è stata Farmindustria, l’associazione di categoria che raccoglie 174 imprese per 62 mila addetti (in maggior parte presenti tra Lombardia e Lazio, le due regioni leader, di cui il 90% laureati o diplomati), oltre a 60mila lavoratori dell’indotto, 6mila alla ricerca e sviluppo, 27 miliardi di produzione, il 72% diretto all’estero. Si tratta di una vera “punta avanzata” dell’attività produttiva italiana, di altissimo profilo scientifico e tecnologico, e capace con le sue esportazioni di rifornire colossi quali gli stessi Stati Uniti, il Sud America, molti Paesi asiatici, l’Africa. Il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, la vice Lucia Aleotti, e i numerosi esperti intervenuti, hanno tutti sottolineato che l’Italia ha una posizione di vera leadership in questo settore a livello europeo, competendo solo con la Germania. Hanno invitato i politici (diversi quelli presenti, di vari partiti) a credere e sostenere adeguatamente il comparto. Del resto vengono avanti medicine contro tumori, patologie croniche, reumatiche, Hiv, renali, neonatali, sclerosi multiple, malattie rare e ultra-orfane. Come dare torto a questi industriali quando hanno parlato dell’ “Orologio della vita” e hanno ricordato che grazie alla ricerca, alle medicine sempre più efficaci e ai nuovi stili di vita, negli ultimi anni la popolazione italiana ha guadagnato mediamente 3 mesi ogni anno di esistenza? Siamo arrivati a una vita media di 82 anni, ogni giorno allunghiamo la nostra “speranza di vita” di 6 ore, 1 secondo in più ogni 4 secondi! Non è cosa da poco e a qualcuno dovremo pure dire grazie!