Pastore e ovile

Gesù dice di essere il “buon pastore”. Non solo: dice di essere anche la “porta delle pecore”. Belle immagini, ma rischiose, perché con quella patina di antico che si portano appresso rischiano di proiettare non solo il pastore, ma colui che l’immagine dovrebbe rendere vivo, cioè Gesù stesso, in un passato indefinito e lontanissimo.

Dobbiamo dunque “collocare” pastore, pecore, porta e tutto il resto nel loro contesto, per capire che cosa hanno da dire a noi oggi.

IL PASTORE, L’OVILE, LA PORTA

Il recinto era o una recinzione in pietre in aperta campagna o un cortile recintato vicino a casa. I pastori si occupavano del gregge durante il giorno. Con il sopraggiungere della notte, i pastori di un stessa regione portavano le pecore in un grande recinto comune, ben protetto contro banditi e lupi. Un guardiano vegliava tutta la notte. Al mattino giungeva il pastore, batteva il palmo delle mani sulla porta ed il guardiano apriva. Il pastore emetteva un certo grido. Le pecore riconoscevano la sua voce, si alzavano e lo seguivano per andare al pascolo. Le pecore degli altri pastori rimanevano dove erano, perché la voce che avevano sentito non era quella del loro pastore. Ogni tanto arrivavano i ladri. Questi non potevano entrare dalla porta perché lì vegliava il custode. Allora, di solito, toglievano le pietre dal muro di cinta che era a secco, aprivano una breccia e da lì facevano passare le pecore per rubarle.

L’uso che Gesù fa dell’immagine del buon pastore non è nuova. I testi profetici parlano di Dio come del pastore del popolo. Quindi Gesù si mette “al posto di Dio”. Lui dunque è lui l’inviato definitivo, con lui Dio prende l’ultima, finale iniziativa.

Il particolare, poi, del pastore che chiama “per nome” le pecore, usando un grido speciale per farle uscire al pascolo, è prezioso. L’immagine dice che esiste un rapporto personale fra Gesù e i suoi discepoli. Il pastore, infatti, chiama le sue pecore e le “conduce fuori”. E cioè: il nuovo popolo, diversamente dall’antico Israele, lascia il recinto ed esce nel mondo.

I farisei non solo non capiscono il significato dell’immagine, ma restano tagliati fuori dal suo senso più profondo: restano estranei all’evento che si sta realizzando sotto i loro occhi. Per questo Gesù parla di coloro che sono venuti prima di lui e dice che sono “ladri e briganti”. Non si tratta, naturalmente, dei patriarchi. E’ difficile anche identificare questi ladri con i vari “profeti” contemporanei o di poco antecedenti a Gesù. Probabilmente Gesù allude agli stessi Farisei. Loro sono i ladri e i briganti. Lui, invece, soltanto lui, è l’unico “accesso” al Padre, l’inviato ultimo di Dio, colui che, solo, è in grado di farsi ascoltare dalle “pecore”.

LA TENTAZIONE DELLA CHIESA – RECINTO

Le pecore, dicono gli esperti, hanno un raggio visivo di soli dieci metri. Oltre, possono essere guidate solo dalla voce del pastore, protette dalla loro stessa reciproca vicinanza. Si capisce che l’immagine del gregge sia stata usata spesso nella tradizione cristiana per parlare della Chiesa. La comunità conosce le proprie debolezze, si lascia guidare dal pastore e si aiuta reciprocamente.  La Chiesa, dunque, non è il recinto, ma è il gregge che esce dal recinto accompagnato dal pastore. E’ interessante che la stessa immagine della porta indica che Gesù è il punto di passaggio, colui che permette al gregge di uscire, di andare verso i pascoli. La Chiesa gregge del Signore dunque esiste solo se le pecore si fidano del pastore.

Molti nostri contemporanei e spesso anche molti cristiani vedono la Chiesa non come gregge ma come recinto. Molta gente si affida alla Chiesa perché le educa i figli, perché porta voti, perché celebra funerali e matrimoni… Ma non crede nella risurrezione del Signore, dubita della vita eterna… Il popolo di Dio, il suo gregge chiamato per nome da lui, deve continuare ad uscire dal recinto e andare coraggiosamente verso il mondo, là dove il suo pastore la vuole e dove lui stessa la conduce.