Soli ma connessi

Mattino, in treno. Stazione di Bergamo. Carrozze ricolme di pendolari. Ma c’è silenzio. Qualcuno dorme. La maggior parte legge le ultime notizie sullo smartphone, ripassa le relazioni al pc portatile, sfoglia il tablet o ascolta musica con cuffiette.
Mezzogiorno, al ristorante. Una signora mangia da sola. “Scusi” dice il cameriere con un sorriso complice, e lei sposta l’ipad per fare posto agli spaghetti. Non troppo lontano però. Mentre mangia, con un dito gira pagina e continua a leggere l’ultimo ebook. Poi le viene un’idea, apre il browser di internet e “scrolla” i contenuti di un sito.
Pomeriggio, all’oratorio. Cinque bambini, meno di cinquant’anni in tutto, seduti vicini sul muretto. Non si guardano, non parlano. Stanno giocando insieme con le loro console, collegate in rete in wifi. Ognuno di loro si è creato un io virtuale, insomma, un avatar, si mandano aiuti per completare le missioni schiacciando un pulsante. “Ma cosa fai?” grida uno. Pensi che stiano litigando, invece no, è che ha lanciato un missile a caso, “fuoco amico”, niente di più pericoloso.
Pomeriggio, in città: turisti russi, francesi, giapponesi e spagnoli cercano i punti più affascinanti di Città Alta. Vorrebbero spostarsi seguendo il pallino di google mappe, ma che disdetta, non c’è campo. Tutti col telefonino in alto, come nello scatto che ha vinto il World Press Photo (didascalia a fondo pagina).
Sera, al bar. Due fidanzati seduti al tavolo per l’aperitivo chiacchierano distrattamente. Ognuno dei due digita rapidamente messaggi con suo smartphone. Lei scatta la foto al bicchiere: guarnito di frutta, è fatto bene. Un attimo dopo è su Instagram, con la geolocalizzazione gli amici vedono in quale locale e a che ora. Ci avete fatto caso? Forse non conoscete il nome di tutti i vostri amici su facebook, ma di certo sapete cosa mangiano e dove. Torniamo dai fidanzati: lui pensa al selfie, e aggiunge una frase romantica che a lei, a voce, non ha detto. A noi viene il dubbio che forse non stiano così bene insieme, sembrano più sbadigli che baci.
Sabato, al cinema. Il bambino segue rapito il cartone animato con gli occhialetti per il 3d, il papà, impassibile, protetto dal buio della sala, con l’ipad controlla la posta elettronica, perché si annoia e perché magari arriva un messaggio di lavoro importante, non si può mai sapere. Domenica, in giardino: un uccellino ha fatto il nido, ci sono le uova. Il pargolo cerca rapido su google immagini a che specie appartengono: pettirosso, passero, merlo?

GESTI AUTOMATICI

Questo è un dossier curioso che apre lo sguardo su gesti che facciamo automaticamente, su abitudini consolidate. Ma se solo qualcuno, come Ian Solo in Guerre Stellari, fosse rimasto ibernato per un po’, diciamo per trent’anni, e si risvegliasse ora si sentirebbe smarrito, “in un altro mondo”. Gesti automatici, abitudini, dicevamo, che però ci cambiano: «Siamo plasmati dai nostri strumenti» scrive Sherry Turkle nell’interessante saggio “Insieme ma soli” (Codice Edizioni), nel quale dà conto di una ricerca sulle relazioni ai tempi di internet e social network. Non solo, secondo la Turkle, proiettiamo nella rete le nostre identità ideali, a caccia di gradimento e di segni d’approvazione (dammi un like, per favore), ma «sembriamo decisi ad attribuire qualità umane alle cose e soddisfatti di trattarci reciprocamente come oggetti». Non possiamo sottrarci a un ragionamento serio su cosa significa la connettività per essere umani, perché, continua la Turkle, “pensare alla connettività è un modo di pensare a ciò che significhiamo uno per l’altro”. I nostri congegni elettronici rispondono molto bene alla nostra paura della solitudine: «Ci sentiamo soli, ma abbiamo paura dell’intimità: le connessioni digitali e i robot sociali possono offrire l’illusione della compagnia senza gli impegni dell’amicizia; la nostra vita in rete ci permette di nasconderci a vicenda anche mentre siamo allacciati l’uno all’altro». Anche per gli anziani la tecnologia diventa una tentazione seducente, come dimostra la storia della nonna con il badante robot che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi. E si legge ancora in “Insieme ma soli”: «Una donna quasi settantenne descrive così il suo nuovo iPhone: “È come avere nella borsetta una piccola Times Square: tutte le luci, tutte le persone che potrei incontrare”. La gente è sola. La rete è seducente. Ma se siamo sempre “on”, potremmo negarci i vantaggi della solitudine». E degli incontri, soprattutto quelli casuali, nati da un’estemporaneo aiuto reciproco, dalla solidarietà del momento, da vicinanze inattese e sorprendenti.

VUOTI DA RIEMPIRE

Ci sono molti rischi ai quali la nostra mente, adagiata sulla comodità degli strumenti, fatica a dare forma, come scrive Fabio Ghioni in “Proteggi i tuoi figli da internet” (Sperling & Kupfer): «Spinti dall’irresistibile impulso a riempire i vuoti della nostra vita, usiamo contenuti irreali invece di percepire ciò che sta intorno a noi. Ci costruiamo barriere con l’ipod, e, in attesa del prossimo sms o instant message, riempiamo quel vuoto con suoni e immagini che ci danno una breve emozione istantanea, ma che contribuiscono a farci perdere la nostra umanità. Il senso di separazione, incredibilmente, ci fa sentire al sicuro, perché i sensi assorbiti da un contenuto artificiale ci proteggono dagli sguardi, dall’attenzione altrui e da quegli stimoli che potrebbero danneggiare la nostra già fragile struttura psicologica. Chiediamoci perché il mondo si sta muovendo nella direzione dell’anestesia sensoriale! Perché le industrie si concentrano a produrre “contenuti” per la nostra mente, che ci spingono sempre più verso una percezione dell’irreale e della finzione, invece che aiutarci ad approfondire la realtà? Chiediamoci perché i nostri cuccioli preferiscono sempre più rinchiudersi in un mondo soggettivo, di fantasia, separato da tutto e da tutti».

MANTENERE IL CONTROLLO

Chiediamocelo, certo, come suggerisce Ghioni, ma senza drammatizzare e senza giudizi affrettati, perché in fondo il web e i supporti tecnologici non sono altro che strumenti: e il bene e il male che fanno dipende in gran parte dal modo in cui vengono utilizzati, e dal nostro livello di consapevolezza, che aumenta con il diffondersi di nuove competenze, conoscenze, prospettive, idee. Per questo leggiamo anche i consigli di Frances Booth, giornalista, docente di scrittura creativa e consulente per soggetti (persone e imprese) con problemi di concentrazione: lei stessa si definisce «esperta di distrazione digitale». Nel libro “Felicemente #sconnessi” (De Agostini) mostra come la connettività tenda appunto a distrarci e a farci perdere tempo anche se ci dà l’illusione di andare più veloci. E soprattutto a ridurre la nostra capacità di ascolto, il silenzio, la pace. E poi ci regala qualche strumento utile per dominare gli strumenti digitali: «Le persone si sentono in dovere di rispondere subito alle email – dice per esempio – avvertono la pressione di esserci sempre. Ma essere sempre connessi non è ne salutare né produttivo, e non è la tecnologia a imporcelo, siamo noi stessi». Il mondo è cambiato rapidamente: difficile tenere il passo, difficile imparare a usare le nuove tecnologie in modo produttivo. Ma è un impegno che adesso non si può più rimandare, perché possiamo noi «detenere il controllo e adattare la tecnologia alle nostre vite, e non viceversa».

La foto di apertura è di John Stanmeyer, fotografo che ha collaborato con National Geographic e Time Magazine. Si intitola Signal e ritrae degli immigrati africani intenti a controllare i segnali dei loro cellulari al chiaro di luna e ha vinto il World Press Photo 2014. Di seguito un video (in inglese, ma comprensibilissimo) che mostra le conseguenze dell’iper-connettività sulla vita di tutti i giorni e alcuni scatti in sequenza che raccontano una società sbilanciata sui rapporti “virtuali”.

PER APPROFONDIRE

C’erano una volta il posacenere e le bionde. Oggi al bar non può mancare il wifi
Condividere ed essere social? Va bene, ma forse ogni tanto una foto in meno e un sorriso in più….
Se Vronski viaggiasse sulla Bergamo-Milano forse posterebbe una foto di Anna Karenina su Instagram

 

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