web e dintorni

Abbiamo parlato di web. Ne dovremo parlare ancora: per forza o per amore, ma dovremo parlarne. Ne abbiamo parlato al nostro convegno di venerdì 20 giugno (c’era la partita con il Costarica: ma il convegno ci ha permesso di non mangiarci il fegato e ci ha preparati alle  grandi delusioni di questi giorni). Le cose interessanti venute fuori in quella circostanza mettono in luce, ancora una volta – sì perché non è la prima volta che se ne parla e non sarà l’ultima – quante differenze stia suscitando nel grande pubblico la straordinaria realtà del web.

CONTINENTE DA  ESPLORARE

Intanto la grande maggioranza, giovanile soprattutto, sta usando il web. Una minoranza non lo usa perché non sa e un’altra minoranza non lo usa perché lo snobba. Il convegno ha detto una cosa semplice. Il web non deve essere solo uno strumento: me ne servo e basta. Il web è un continente che può essere esplorato. Incredibile deposito di parole, di immagini, di notizie, di storie… luogo di legami di ogni tipo. Resta da vedere come esplorarlo. Il problema, cioè, non è il se, ma il come. E, ovviamente, nel come sta anche il come far giocare quel continente con gli altri continenti, quelli già esistenti. Qui casca l’obiezione che molti ripetono e che è stata citata anche al nostro convegno. Il web è il regno del virtuale; il mondo reale è altrove. Già questa divisione mette qualche sospetto: troppo chiara per essere vera. Dove finisce il virtuale e dove comincia il reale? Il telefono è virtuale o reale? E la televisione e la radio? Ma questi ultimi strumenti, ormai digeriti e metabolizzati dalla cultura dominante, non fanno più problema. Il web, invece, sì. Ma è perché internet è più subdolo della tv o è semplicemente perché non è stato ancora sufficientemente assimilato? Questo “sospetto” dipende dal web o da noi? Il dubbio è che sia più vera la seconda risposta rispetto alla prima.

NUOVI E ANTICHI SOSPETTI

Insomma qualche amico meno giovane ha ricordato i sospetti verso la TV nell’immediato dopoguerra. Oggi nessuno si sogna che educare al buon ascolto della TV consiste nello spegnerla. Anche del buon uso di internet si tratta, dunque. Pascal parlava del buon uso della malattie. Internet non è una malattia. Lo può diventare se non lo si usa bene. Ma sarebbe, appunto, più una malattia nostra che sua.

In tutto questo impressiona quello che sembra essere un ritardo più vistoso da parte di ambienti ecclesiali, anzi, a essere più precisi: più ecclesiastici che ecclesiali. Un mio amico prete mi dice: «Sta succedendo come con la TV. Mi ricordo, racconta, che una disposizione di mons. Piazzi, vescovo di Bergamo fino al 1963, diceva che i seminaristi in vacanza potevano vedere alla TV solo trasmissioni religiose e spettacoli sportivi, ma chiedendo volta per volta il permesso al parroco. Erano eslcusi gli spettacoli di boxe, e naturalmente tutti gli altri spettacoli. Adesso, mi fa notare l’amico, la boxe la praticano i seminaristi. E la TV la vedono tutti e vi vedono di tutto».

Insomma: si tratta di una questione culturale. Che non deve avere copertura ideologiche e tanto meno teologiche, né a favore né contro. Sarà solo una battuta. Ma funziona. Questa: là dove ci sono gli uomini o le loro parole, la Chiesa c’è, ci deve essere. Mi pare una buona battuta.