(De)generazione digitale. Il libro che riflette sui rischi della dipendenza dal web

Un’agile pubblicazione con un titolo volutamente choc per aiutare a far riflettere, destinato soprattutto a docenti, genitori ed educatori per aiutarli a districarsi nella vasta ragnatela mondiale di internet, che rischia concretamente di rendere i giovani sempre meno pensanti e meno razionali.

Si intitola «(De)generazione digitale» (pp. 62, Funtasy editrice, collana «Movi-Mente»). Il sottotitolo offre già l’idea dei contenuti: «Ragazzi sempre più dipendenti dalla Rete, attirati in una bulimia di immagini ed esperienze che rischiano di “killare” il cervello». Ne è autore il giornalista Roberto Alborghetti, che ha al suo attivo, oltre a varie biografie, testi in ambito educativo.

La pubblicazione è nata dopo i suoi incontri in scuole d’Italia, associazioni e parrocchie. «I genitori e gli insegnanti — racconta l’autore — ammettono di essere disarmati di fronte all’invadenza dei social e della tecnologia digitale nella vita dei figli e degli alunni. Sono coscienti dei rischi quando i ragazzi sono online, ma affermano di non avere conoscenze adeguate per poter affrontare un dialogo».

Al riguardo, Alborghetti riporta i dati allarmanti di una recente ricerca. «Il 46%, cioè quasi uno su due, ritiene di non avere un’adeguata formazione sul mondo del web e vuole saperne di più su una realtà che coinvolgo bambini e adolescenti. Oggi la scuola non può più prescindere dalla formazione sui media. Quello che il docente insegna al mattino rischia già di essere dimenticato all’uscita da scuola».


La pubblicazione è suddivisa in cinque capitoli che affrontano questi argomenti, offrendo riscontri frutto di studi condotti in Italia e in altri Paesi. «Non si tratta, dunque, di opinioni — prosegue l’autore —, ma di rilevazioni a carattere scientifico sul rapporto fra giovanissimi, uso e abuso della tecnologia digitale. Il periodo della pandemia e la didattica a distanza hanno favorito una maggiore esposizione ai social. Inoltre, si sta abbassando sempre di più l’età in cui avanza una forma di assuefazione nei confronti dei social». Nel libro, Alborghetti lancia quindi un forte allarme. «Per ragazzi e adulti sono sempre di più le ore trascorse sui dispositivi digitali, stanziati sui social network a commentare, mettere cuoricini e pollicioni, a passare in rassegna le chat, succubi delle notifiche, a cui si risponde come automi, incapaci di frenare i riflessi condizionati, in una cyber-disruption che killa il cervello. Le naturali fasi della crescita vengono alterate in un vortice di immagini che non rispettano i tempi dell’età evolutiva».

Alborghetti attribuisce a questa realtà inquietante i nuovi disturbi e disagi psicofisici, spesso non facilmente riconoscibili da genitori e docenti, fra cui la sindrome chiamata «nomofobia», cioè il timore di non poter essere raggiungibili al cellulare o sui social. Inoltre, vanno ascritti a questa realtà anche la paura di relazionarsi con l’altro, l’ossessione di mostrarsi, l’intrusione ingannevole con falsa identità per raggirare altri utenti, la diffusione delle baby gang, la dipendenza da videogiochi anche violenti e il precoce consumo di materiale pornografico.

Il libro si chiude con un testo dal sapore di provocazione. «Nelle scuole d’élite della tecnologica Silicon Valley, in California — sottolinea l’autore – si educa al saper scrivere con le mani, con la propria calligrafia e a fare proprie le parole. Sono esperienze fondamentali per lo sviluppo dell’apprendimento, delle competenze e delle abilità cognitive». La pubblicazione è corredata da schede di lavoro.