La religione fa male ai bambini? Macché, gli insegna (anche) lo stupore

«I bambini esposti alla religione hanno difficoltà a distinguere la realtà dalla finzione». Così titolava ieri su l’Huffington Post un articolo in merito ad un cosiddetto studio pubblicato su Cognitive Science, che voleva capire quanto l’educazione più o meno religiosa potesse influire sulla percezione del reale o del fittizio sui bambini di 5-6 anni. Il risultato, manco a dirlo, è che i bambini con formazione religiosa sarebbero più «creduloni», meno capaci cioè di identificare gli aspetti sovrannaturali rispetto a quelli reali, come ad esempio elementi immaginari quali alberi o animali parlanti.

Il «manco a dirlo» scatta in automatico perché è evidente quanto persino la scienza sia facilmente strumentalizzabile per fini ideologici (alla faccia dell’obiettività!). Va di moda trovare appigli per attaccare religione e fede? Perfetto, voilà uno studio «scientifico» che sostiene la moda. Spacciare i credenti per fessacchiotti sempre e comunque fa click? Ottimo, ecco serviti i click e i commenti di quanti non vedono l’ora di scrivere «ecco, la religione è l’oppio dei popoli e ora è pure dimostrato!». Al netto però delle tifoserie da web che ormai scattano per qualsiasi cosa, è interessante notare quanto basti un titolo o un’insinuazione per banalizzare temi importanti come la religione, la scienza o l’infanzia.

Perché titolare «bambini esposti alla religione»? Le religioni non sono radiazioni nocive dagli effetti necessariamente dannosi. Tanto più che poi, entrando nel merito dello «studio», emerge che «l’insegnamento religioso, in particolare l’esposizione a storie di miracoli, porta i bambini ad una ricettività più blanda verso l’impossibile, cioè una più ampia accettazione del fatto che l’impossibile può accadere a dispetto delle relazioni causali ordinarie». Anche ammettendo quindi che uno studio condotto su un campione di 66 bambini possa avere una qualche autorevolezza scientifica, dove sta la presunta negatività che il titolo voleva far passare?

C’è qualcosa di dannoso o negativo nel fatto che un bambino creda all’impossibile o al sovrannaturale? Al contrario: meno male che ci sono ancora bambini che lo fanno. Che guardano con stupore al mondo, che credono alle fate e ai folletti, che vedono la magia nella realtà. E soprattutto capaci, attraverso (anche) l’insegnamento religioso, di imparare la molteplicità dei mondi reali e immaginari e la diversità delle persone e delle fedi e, con esse, di continuare a sognare un mondo migliore anche quando saranno adulti. Se è questo l’«impossibile-possibile» che trasmette l’insegnamento religioso, allora ben venga! Forse è questo che serve al mondo, non un realismo imbalsamato e asettico.