«Ogni bomba che si lancia su Gaza è carburante per gli integralisti»

«L’invito alla pace di Papa Francesco pronunciato durante l’Angelus: “Il Dio della Pace susciti un vero desiderio di dialogo. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace”, ha un significato anche politico che andrebbe colto. È l’unica strada concreta, non è un’utopia. Chi ha voglia di costruire qualche cosa a lungo termine sa che l’unico cemento è questo, non c’è altra alternativa. Certe volte sembra che gli uomini abbiano un istinto suicida. Ogni volta che si lancia una bomba su Gaza, è carburante dato in mano agli integralisti. Questa è una strategia voluta da chi ritiene che non ci sia spazio a qualsiasi ipotesi di accordo e che bisogna soltanto usare le armi per arrivare ai propri obiettivi».
Enzo Romeo, vaticanista e caporedattore Esteri del Tg2, commenta quello che sta accadendo in Medio Oriente, lungo la striscia di Gaza, territorio nel quale Israele ha lanciato l’offensiva «Margine protettivo» in risposta al ritrovamento il 30 giugno scorso a nord della città palestinese di Halhul, in Cisgiordania, dei cadaveri dei tre ragazzi israeliani scomparsi lo scorso 12 giugno. Ogni giorno un bollettino impressionante di morti, un’escalation continua, l’Unicef parla di circa 300 bambini e ragazzini palestinesi rimasti uccisi e 2502 rimasti feriti, secondo Save the Children nella Striscia di Gaza «un milione di bambini sono senz’acqua». Dall’8 luglio, data dell’inizio della quarta guerra di Gaza che ha tristemente battuto il record di durata e di morti dal 2005, sono oltre 1700 le vittime palestinesi (85% civili), e 66 quelle israeliane, 9000 i feriti, 2947 gli obiettivi colpiti. Diecimila case distrutte, ventimila colpite, 32 ospedali chiusi, 117 le scuole dell’Onu danneggiate. Gli oltre 280mila sfollati (su 400mila) che sono rifugiati nelle scuole dell’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi) attendono la fine del conflitto per poter ricevere quegli aiuti umanitari dei quali hanno disperatamente bisogno. Tutto queste cifre purtroppo sono destinate a salire mentre stiamo scrivendo.
«La diplomazia è stata sconfitta, perché in questo momento in Israele non c’è una situazione politico-sociale che sia favorevole alla pace. Dall’altra parte da tanto tempo ha guadagnato spazio Hamas che, secondo me, usando sistemi di terrore interno, ha fatto in modo di poter comandare a Gaza in maniera assoluta. Le forze che si confrontano quindi sono forze che non hanno nessuna voglia di raggiungere un accordo, anzi. Non so quanto potrà durare tutto questo, spero che da qui a un mese le cose alla fine si calmeranno non fosse altro perché il sangue che si è fatto colare è sufficiente. La tregua durerà un mese, un anno, poi saremo punto e daccapo» puntualizza Romeo. Una cosa è certa: l’incontro dell’8 giugno scorso in Vaticano voluto da Papa Francesco, testimone il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I tra il Presidente israeliano Shimon Peres e il Presidente palestinese Abul Abbas adesso sembra un sogno. Quella preghiera per la pace nei giardini vaticani era scaturita da Bergoglio durante il suo viaggio apostolico in Terra Santa dello scorso fine maggio.
«Si potrebbe camminare insieme, però la realtà è un’altra. Il viaggio del Papa era stato tra l’altro anticipato, perché stava per scadere il mandato presidenziale di Shimon Peres, insignito nel 1994 del Nobel per la Pace, quindi Peres poteva essere un “attore” importante. Adesso al suo posto c’è il tenace Reuven Rivlin che ritiene che non ci siano assolutamente margini di dialogo e che bisogna solo usare le armi. Rivlin appena eletto ha subito detto che per lui Israele è indivisibile e quindi la famosa opzione “due popoli, due stati” per ora non è praticabile» precisa il vaticanista del Tg2.

Romeo, inviato in Giordania, Israele e Cisgiordania per seguire la visita in Terra Santa di Papa Francesco, ha recentemente pubblicato l’e-book, Oltre i muri. Diario del viaggio di Papa Francesco in Terra Santa (Ancora Edizioni 2014). Facciamo scorrere questo interessante diario con l’autore ottenendo un ampio approfondimento. Un diario di viaggio di quelle storiche giornate del pellegrino Bergoglio “artigiano di pace”, che ha camminato nei luoghi descritti nell’Antico Testamento lungo l’arco di tre giorni. «Tre giorni, come lo spazio temporale tra la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, in quell’oscura, terribile apnea che lasciò senza fiato la creazione, prima di giungere al profondo respiro dell’alba pasquale». Il primo papa nella storia che ha assunto il nome del Poverello d’Assisi che «dimostrò che i figli di Abramo possono confrontarsi senza sfoderare spade e scimitarre, in spirito di accoglienza, rispetto e comprensione» cinquant’anni dopo ha voluto percorrere le orme di Paolo VI, che giunse in Terra Santa nel gennaio del 1964. Da quella data, dall’abbraccio di Montini con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Athenagoras, molto tempo è passato. Due Pontefici («come dice il nome, Pontefice è chi fa da ponte, tra l’uomo e Dio, ma anche tra i dilemmi e le speranze dell’umanità»), Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono venuti a visitare i luoghi santi, perché questa terra ferita, divisa, desidera la carezza dell’uomo vestito di bianco, il quale con la sua presenza «lenisce il dolore procurato da odio, violenze, guerre». Da più di tre anni qui è in corso una guerra sanguinosa, quella siriana, ai confini di Giordania e Israele che ha procurato decine di migliaia di morti e milioni di sfollati. Innumerevoli le vittime civili: bambini («una generazione cancellata»), donne e anziani.
Romeo arrivato prima di Papa Francesco ha parlato con la gente, con gli uomini politici, ha visitato i luoghi santi facendo diventare il suo percorso, un reportage dietro le quinte di un viaggio che ha sicuramente lasciato il segno. Amman moderna e dalla storia millenaria, capitale della Giordania che ospita centinaia di migliaia di profughi, non solo siriani ma iracheni, e che sono giunti da altre zone martoriate del Medio Oriente. La Giordania di Re Abdullah e della bella moglie Rania è l’unico paese dell’area in grado di garantire stabilità ma la nazione si trova “al centro di un formidabile tornado”, «perché è questa la situazione in cui si trova ora tutto il mondo arabo. Dal Nord Africa fino allo Yemen interi popoli sono stati travolti dalle cosiddette primavere arabe, che dovevano aprire questi paesi alla democrazia ma sappiamo che la Storia ha preso una direzione diversa. Molti paesi sono rimasti nella terribile palude della guerra civile, sono cresciuti gli integralismi e sono aumentate le chiusure, molti paesi si sono ritratti in se stessi. Lo dimostrano le tante guerre, pensiamo alla situazione in Libia ma soprattutto in Siria. La Giordania si è trovata al centro di tutto questo sommovimento del mondo arabo. È come quando avviene un ciclone e sull’occhio, il punto centrale del ciclone non avviene nulla, c’è la tranquillità totale. Tutt’intorno il disastro mentre in Giordania per tutta una serie di motivi che accenno nell’e-book, (questo è un paese abituato a convivere con il problema dei profughi, è un popolo di fatto di profughi quello giordano, soprattutto la componente palestinese, quasi maggioritaria) è una nazione che è riuscita a rimanere in piedi, quindi è diventata un punto di riferimento per la comunità internazionale». Il cronista Romeo prima dell’arrivo del Papa ha visitato l’ospedale italiano di Kerak, il più antico della Giordania gestito dalle suore comboniane. Suor Adele Brambilla, la superiora, che avrebbe partecipato alla Messa di Bergoglio allo Stadio di Amman ha dichiarato al giornalista che la presenza di Papa Francesco «sarà un grande segno, anche perché qui tutti ne parlano come di un uomo di bontà e misericordia, che aiuterà a riconoscere a iniziare cammini di pace, dialogo e riconciliazione». Giovedì 22 maggio Romeo ha incontrato nella sede di Amman dell’UNHCR, l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi e dei rifugiati, Daniela Cicchella che ogni giorno tocca con mano la grave situazione di emergenza della popolazione siriana in fuga dalla guerra e continua a oltrepassare la frontiera in gran numero. Persone che mancano di tutto quindi «una popolazione estremamente vulnerabile, che ha bisogno di programmi di assistenza specifici».  Abbiamo domandato a Enzo Romeo quale sia stata l’immagine più significativa che abbia riportato con sé dalla Terra Santa.«Il Papa davanti ai Muri… si può quasi sovrapporre l’immagine del Santo Padre davanti al Muro di Betlemme con quella dello stesso Pontefice davanti al Muro del Pianto. Questo stare per lunghi attimi in preghiera silenziosa potrebbe essere la copertina del viaggio del Papa. È come se Bergoglio volesse passare attraverso quel muro, superando le barriere, sia quelle bibliche, storiche sia quelle moderne che segnano le ferite più recenti di questa terra».  Il giornalista è certo che il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa sia servito a rimettere in connessione le sponde occidentali e quelle dell’oriente islamico «soprattutto attraverso i gesti del Papa, quei suoi abbracci, quel senso di familiarità che ha dato agli incontri sicuramente sono serviti per ridurre i sospetti e far crescere se non la fiducia reciproca, quanto meno la possibilità di ascoltarsi gli uni con gli altri».
Sabato 24 maggio, alle 9 del mattino Papa Francesco a Fiumicino saliva le scalette dell’aereo accompagnato dalla sua consueta valigia nera, emblema del suo stile sobrio, pronto ad atterrare in una terra lacerata e in fiamme. Bergoglio, un uomo capace di sciogliere anche i nodi più intricati. «Mi riferisco all’immagine della Madonna che scioglie i nodi alla quale è affezionato, il dipinto che Papa Francesco scoprì tanti anni fa durante un viaggio in Germania. Bergoglio è talmente devoto a questa immagine che trasferì il culto della Madonna che scioglie i nodi in Argentina. Maria aiutata da tre angioletti, districa pazientemente con le mani questi grovigli di fili intricati. È l’immagine perfetta del Medio Oriente che è un intrico difficilissimo da sciogliere. Bergoglio ci sta provando con la stessa pazienza che si vede in quell’immagine di Maria, e ci sta provando con atteggiamento di umiltà, con il suo andare al di là della diplomazia ufficiale. Come del resto è avvenuto con l’invito ad Abu Mazen e a Shimon Peres a venire in Vaticano per l’invocazione della pace dell’8 giugno scorso che si è celebrata nei giardini vaticani». Il giornalista quella domenica pomeriggio si trovava nei giardini vaticani «significativo il momento dell’arrivo del “pulmino della pace”, come l’ho ribattezzato, i quattro partecipanti sono scesi con incedere lento, hanno percorso questo tratto di viale per poi dirigersi nel prato. È stato quello un momento toccante si percepiva che si stava vivendo qualche cosa di storico, al di là poi dei risultati concreti. Resta l’immagine di queste quattro persone, il Papa, il Patriarca e i due presidenti che da buoni amici sono lì a dire al mondo che non c’è alternativa al dialogo e all’unità. È la più grande preghiera che si poteva elevare a Dio e agli uomini».
Ora quel processo di pace sembra essersi fermato, nella Striscia di Gaza giunti alla quarta settimana di guerra si sono susseguiti, lanci di razzi, raid, «cessate il fuoco», sette tregue umanitarie (fallite) ma sarebbe opportuno se «umanitario» fosse il ragionare ad alto livello. Israele ha iniziato il ritiro parziale delle forze di terra da Gaza ma Netanyahu ha dichiarato che le forze armate dello Stato ebraico non se ne andranno prima di aver distrutto tutti i tunnel di Hamas. L’organizzazione palestinese ha replicato che nessun cessate il fuoco sarà possibile nella Striscia di Gaza fino a un completo ritiro delle forza di terra israeliane. «L’uso della forza non solo non risolve il problema a medio e lungo termine ma accentua la rabbia. Nel momento in cui qualcuno cerca di costruire condizioni favorevoli al dialogo c’è sempre qualcun altro che interviene per spegnere le speranze. Certo che il viaggio apostolico di Bergoglio aveva liberato di molte tensioni il panorama. Sembrava che si potesse parlare, ritornare a guardarsi in faccia. Israeliani e palestinesi sono due popoli che occupano la stessa terra, indivisibile, “condannati” a convivere. O accetti la presenza dell’altro, o non hai speranze, non hai futuro. Non potrà mai esserci una soluzione se non attraverso il riconoscimento del diritto dell’altro. Ci dovrebbe essere un intervento internazionale forte, ma nessuno lo farà perché Israele non accetterà mai che qualche forza internazionale s’interponga tra Israele, la Cisgiordania e Gaza. Vista la mancanza totale di confronto e di dialogo, quella sarebbe l’unica strada. Una comunità internazionale forte che imponga il cessate il fuoco e le regole della pace. Chi lo farà mai?».