Quando Vanessa mi parlava della Siria, le si illuminavano gli occhi. Ci siamo conosciute proprio grazie alla causa siriana: un’amica mi aveva parlato di questa giovane bergamasca che cercava qualcuno che la aiutasse a diffondere iniziative di raccolta fondi e aiuti per la popolazione siriana. Vanessa è una ragazza generosa: volontaria in croce rossa e negli ultimi tempi attiva per la causa siriana. Partecipava appena poteva alle manifestazioni, ma il suo attivismo non erano solo parole urlate ad un megafono o attraverso cartelloni di solidarietà.
Lei voleva aiutare concretamente la popolazione siriana, per cui piano piano ha cominciato dapprima a collaborare con ong italiane, aiutando nella raccolta di fondi, alimenti e medicine, poi appena c’è stata la cosiddetta «emergenza profughi siriani» a Milano, è stata in prima linea anche su questo fronte. Andava spesso in stazione centrale, per poter parlare con i siriani appena arrivati e poterli aiutare, indirizzandoli verso le strutture per le accoglienza. Proprio in una di queste strutture ci siamo finalmente potute conoscere di persona: l’ottobre scorso siamo andate insieme al centro d’accoglienza di via Novara a Milano. Ed è per questo motivo che, leggendo i vari commenti del popolo del web, non posso che provare rabbia per le parole e per i giudizi che vengono calati dall’alto. Come al solito, davanti a queste questioni delicate, il popolo del web si divide: da una parte chi ammira Vanessa e Greta, l’altra giovane lombarda rapita insieme a lei, per il loro coraggio e la loro solidarietà senza confini. Dall’altra, chi dice che se la siano andate a cercare, arrivando addirittura ad augurarsi che siano stuprate per aver osato andare in un Paese dove le donne valgono meno di zero. Altri non riescono a capire perché siano andate in Siria, e non siano rimaste in Italia a fare volontariato, con toni non di certe edulcorati: «Ma chi se ne frega di 2 idiote. Invece di andare in SIRIA a COOPERARE fossero andate in qualsiasi ospedale italiano a pulire padelle, evitavano la rottura di palle a noi! Che se le tengano i siriani cooperanti», altri in cui, invece di preoccuparsi della loro incolumità, si pensa ai soldi pubblici che lo Stato dovrà versare per pagare un eventuale riscatto, finora non ancora richiesto. Non manca neppure l’ironia gratuita: «Avevamo scelto di studiare arabo ad Aleppo, fa tanto ficooooooo, così poi scrivevano un libro sul “male” e avevano un posto alle Nazioni Unite».Ironia assolutamente fuori luogo, ed irrispettosa sia delle stesse ragazze, sia delle famiglie e degli amici in ansia per loro. Vanessa e Greta non cercavano certo la notorietà, anzi: ho intervistato Greta una volta e non ha neppure voluto che il suo nome apparisse nell’articolo, ha voluto comparire come una semplice volontaria. Non voleva che si pensasse che si impegnasse per i siriani per avere un tornaconto o una notorietà: il suo impegno, così come quello di Vanessa, era ed è disinteressato. È vero, hanno agito più con il cuore che con la testa, forse non valutando come avrebbero dovuto i rischi e i pericoli a cui sarebbero potute andare incontro. Ma ciò non giustifica la cattiveria gratuita che sta piovendo su di loro in questi giorni: non se la meritano. Ogni volta che sentivo Vanessa, quando mi parlava del suo volontariato con i siriani – oltre all’aiuto ai profughi aggiornava costantemente facebook sulla situazione in Siria, ed era in contatto ogni giorno con attivisti siriani -, percepivo nella sua voce, nelle sue parole, la sensazione che le sembrava sempre di fare troppo poco, il voler fare qualcosa di più. Ed è per questo che appena ha potuto è partita davvero, con una prima missione esplorativa a marzo e poi a fine luglio. La sua solidarietà senza confini mi ricorda la frase di Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Lei voleva essere la solidarietà reale di un Occidente, che per troppo tempo si è lavato le mani rispetto al genocidio che da anni si sta perpetrando in Siria.