Le tempeste: quella del mare di Galilea e quelle della Chiesa

Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo (Vedi vangelo di Matteo 14, 22-33. Per leggere i  testi liturgici della diciannovesima domenica del tempo ordinario “A”, clicca qui).

È appena avvenuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e Gesù non vuole che i discepoli si lascino contagiare dall’entusiasmo eccessivo della folla che, con tutta probabilità, pensa a Gesù come a un capo politico e forse anche militare. Fa salire “in fretta” i suoi amici sulla barca perché raggiungano l’altra riva, mentre lui si ritira sul monte a pregare: sceglie, cioè, di fare l’esatto opposto di quello che la gente e i discepoli si aspettano da lui.

LA TEMPESTA. DALLA PAURA ALL’EUFORIA

I discepoli attraversano il lago, è notte e la barca è agitata dalle onde. Quel lago gli ebrei lo chiamano “il mare di Galilea”. Si sovrappongono le situazioni che fanno paura: il mare e la notte. Il mare, in particolare, è, per gli Ebrei, il luogo dei mostri e delle forze misteriose e indomabili. Ora, proprio sul mare di Galilea in tempesta, Gesù cammina. Il camminare di Gesù sulle onde segnala, in maniera inequivocabile, il potere che egli possiede e la sua signoria sulle acque evoca la signoria di Dio. “Sul mare passava la tua via, i suoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili”, dice il salmo 77. Ma l’apparizione di Gesù che cammina sulle acque è talmente sorprendente per i discepoli che essi si spaventano. Pensano a un fantasma. La paura si supera grazie all’iniziativa di Gesù che si fa riconoscere: “Sono io. Non temete”. Non è solo un banale modo per farsi riconoscere. “Io sono” è il nome di Dio nel Vecchio Testamento e soprattutto il vangelo di Giovanni usa questa formula per suggerire l’identità divina di Gesù. Quindi non solo Gesù cammina sulle acque, ma usa il nome stesso di Dio. Alla paura subentra l’euforia di Pietro: “Comandami di venire verso di te sulle acque”. Ma è un’euforia che dura poco. Pietro ha paura e affonda. Allora Gesù lo rimprovera: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. È il rimprovero che ricorre nelle situazioni di tentazione e di dubbio. Appena Pietro e Gesù sono saliti sulla barca, il vento si calma. Gesù appare dunque signore della natura, che porta lo stesso nome di Dio e come Dio viene venerato. “Si prostrarono davanti a lui”. Ancora una volta: il vangelo ci vuole fare capire una verità: Gesù è davvero il Figlio di Dio.

LA FORZA DELL’AMORE E L’AMORE DELLA FORZA

Parliamo della Chiesa e delle sue traversie, di noi e delle nostre traversie. Anche noi viviamo la difficoltà di Pietro e dei discepoli. Chi è questo Gesù? Che cosa mi dà? Avremmo tanti bisogni: dammi questo, dammi quest’altro, gli chiediamo. Ma lui non si sente, è lontano da noi: un fantasma. Eppure bisogna che ricordiamo che, in realtà, Gesù è già con noi anche quando viviamo le nostre tempeste, perché quelle tempeste le ha vissute lui. Anche lui soffre e anche lui muore. Quando per incoraggiarci si fa riconoscere, allora noi diventiamo euforici come Pietro. Non solo siamo contenti della sua compagnia ma vorremmo usarla per diventare come lui. La sua forza d’amore diventa il nostro amore della forza. Il nostro rapporto con il Signore è spesso un’alternanza continua di paura ed euforia.

Quello che è importante e che dà senso a tutto il resto è comunque, nella tempesta e dopo, affidarci a lui. È ancora una volta questione di fede. È la scena finale… Gli amici di Gesù riconoscono la sua identità divina. Bella immagine della comunità cristiana: la barca – da sempre immagine della Chiesa – con al centro lui che domina le tempese e i suoi amici che lo riconoscono come loro Signore e lo adorano.