Sinodo, matrimonio, famiglia. A proposito di un libro annunciato

Prima ancora che il metodo, mi ha disturbato il titolo. “Permanere nella verità di Cristo”. Come a dire che c’è qualcuno (non loro, evidentemente) che vuole porsi contro la verità, peraltro identificata con una dottrina e con una prassi pastorale disciplinare. Sto parlando del volume, pubblicato negli Stati Uniti e tra poco anche nelle librerie del nostro Paese, che ha un unico fine: smontare pezzo per pezzo la lunga relazione di taglio teologico sulla pastorale familiare che il cardinale Kasper aveva tenuto dinanzi ai porporati riuniti in concistoro, lo scorso febbraio. A firmare i saggi contenuti nel volume sono cinque cardinali: Walter Brandmüller, Carlo Caffarra, Velasio De Paolis, Raymond Leo Burke e, soprattutto, Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Ad essere sinceri, di inedito c’è poco: per lo più si tratta di testi già noti, per alcuni è stata effettuata una rielaborazione di scritti di recente pubblicazione. In ogni caso, però, si tratta di una presa di posizione di assoluto rilievo, dal momento che l’uscita avverrà a meno di una settimana dall’apertura del Sinodo straordinario sulla famiglia voluto da Francesco, prima tappa di un percorso biennale che condurrà all’esortazione apostolica del Papa. Una modalità inedita che rischia di vanificare, prima ancora che inizi, un autentico confronto ecclesiale sul tema (più che sulle soluzioni, che non ci sono). Confronto, auspicabile, su questo come su molte altre questioni della vita e della fede dei cristiani del nostro tempo.

TEOLOGIA IN GINOCCHIO. PAROLA DI PAPA FRANCESCO

A febbraio, Kasper nell’ultima parte del suo articolato intervento, aveva ipotizzato – caso per caso, a determinate condizioni e dopo un percorso penitenziale – la possibilità di riammettere i divorziati risposati alla comunione. La relazione aveva suscitato molte reazioni tra i cardinali, e il giorno successivo, prendendo la parola, Francesco l’aveva valorizzata, dicendo di considerare quella di Kasper “teologia in ginocchio” e di avervi trovato “l’amore alla Chiesa”. Nei mesi successivi, dopo la pubblicazione di quel testo, interviste e interventi si sono moltiplicati. Le posizioni si sono polarizzate, peraltro restringendo ad una questione particolare un tema – quello del Sinodo straordinario di ottobre e del Sinodo generale del 2015 – molto più ampio e articolato. Lo hanno capito i giornali di tutto il mondo che nei giorni scorsi hanno usato parole pesanti per raccontare il dibattito e le differenze.

DISTINGUERE LA DOTTRINA DALLA DISCPLINA

Nello specifico, mi ha colpito la risposta che, nei giorni scorsi, il cardinal Kasper ha dato a chi gli chiedeva se intendesse mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio cristiano. «La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale si fonda nel messaggio di Gesù, la Chiesa non ha il potere di cambiarla. Questo punto rimane fermo. Un secondo matrimonio sacramentale, mentre il primo partner è in vita, non è possibile. Ma bisogna distinguere la dottrina dalla disciplina, cioè l’applicazione pastorale a situazioni complesse. Inoltre la dottrina della Chiesa non è un sistema chiuso: il Concilio Vaticano II insegna che c’è uno sviluppo, nel senso di un approfondimento possibile. Mi chiedo se sia possibile in questo caso un approfondimento simile a quello avvenuto nell’ecclesiologia: anche se quella cattolica è la vera Chiesa di Cristo, ci sono elementi di ecclesialità anche fuori dai confini istituzionali della Chiesa cattolica. In certi casi, non si potrebbero riconoscere anche in un matrimonio civile degli elementi del matrimonio sacramentale? Per esempio l’impegno definitivo, l’amore e la cura reciproca, la vita cristiana, l’impegno pubblico che non c’è nelle coppie di fatto?».

LA VERITÀ NON È UNA DOTTRINA

Ho sempre pensato e creduto che nella vicenda cristiana la verità non è una dottrina ma una persona, Gesù di Nazareth, il Cristo. E per quanti di noi la verità la cercano essa è anzitutto una relazione viva con questa persona. Ce lo ha ricordato più volte papa Francesco e anche Papa Benedetto nella “Deus caritas est”. La dottrina è una formulazione, storica e modificabile, con cui la chiesa esprime la verità e, attraverso la pastorale, cerca di accompagnare le persone all’incontro con la verità, alla relazione. Così come nel matrimonio, la verità non è l’indissolubilità come dottrina, ma l’indissolubilità come relazione d’amore tra uomo e donna che va verso la piena comunione in alleanza con Dio. Senza mettere in primo piano la relazione, il senso della dottrina risulta distorto e insufficiente, perché si riduce a ideologia umana. Tutto questo ce lo hanno ricordato più volte Papa Francesco e Papa Benedetto nella sua “Deus caritas est”. A dire il vero mi è tornato alla mente il magnifico intervento che papa Giovanni XXIII fece il giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II. Di fronte ad una platea che non colse subito la forza dirompente delle sue parole (lo capirà il giorno dopo quando l’Osservatore Romano pubblicherà il testo) disse cosi: «Il nostro dovere nel Concilio non è soltanto di custodire il tesoro prezioso della fede come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da venti secoli». Il Papa che ha studiato da storico trae dalla storia la lezione del cambiamento, invitando a non immobilizzare il percorso della Chiesa. È l’ottica dinamica che Giovanni XXIII intende imprimere al Concilio che si apre, confidando in una sua impresa rinnovatrice. Per questo «è necessario un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze». Occorre cioè proporre l’antica ed autentica dottrina ma studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno. Tenendo presente una distinzione molto importante: «Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione; e si dovrà ricorrere a un modo di presentare le cose che più corrisponda al magistero, il cui carattere è prevalentemente pastorale» La fede rimane intatta e sempre la medesima ma la sua formulazione può e deve cambiare e ogni tempo deve assumere, con coraggio, questo impegno.

E NOI OGGI?

Ci pare evidente che oggi, la sfida per la Chiesa – e per i padri sinodali – non è lottare per una dottrina (quando poi la questione dell’eucaristia per i risposati è un fatto disciplinare e non dottrinale) ma aiutare a cogliere il valore dell’amore, a credervi anche in un tempo in cui la vita affettiva, per molti, non trova più sostegno e luce nell’esperienza di fede. «Gli irrigidimenti che vogliono solo conservare non fanno altro che attestare questa distanza tra la vita e la religione, senza fare alcun passo, senza parlare alle persone, senza scaldare il cuore. Rischiano di restare dichiarazioni di uomini religiosi che, alla fine, parlano solo a se stessi e non sanno incontrare l’uomo e la donna in carne e ossa» (Albini). Lo ha ben scritto Alberto Melloni sul Corriere della Sera: «La Chiesa non ha il problema di mettere la propria morale alla luce della modernità, per tenerla immobile o per cambiarla a basso prezzo; ma di mettere tutto alla luce del Vangelo. In quel tutto non esiste “la” famiglia ma esistono “le” famiglie, che come diceva il Papa nella sua omelia ai nubendi un paio di domeniche fa, sono storia e vita, caduta e cammino, fatica e gioia, dolore e tenerezza infinita. Tutte cose a cui solo il Vangelo può parlare: non le morali a basso prezzo, non quelle eccitate del rigorismo, e tanto meno le paure di coloro che quando temono un papato che dice il Vangelo, in fondo, mostrano di aver indovinato quel che di quel papato è il centro».