Il Sinodo. Una nuova Chiesa

L’oggetto del confronto, talvolta molto aspro, in atto in questi giorni al Sinodo della famiglia non è solo la questione della riammissione dei divorziati all’eucaristia o l’atteggiamento della Chiesa verso l’omosessualità e le coppie di fatto. In gioco c’è il futuro dell’intera istituzione, il suo assetto interno e il suo rapporto con il mondo e la società moderni.

UNA CHIESA AUTORITARIA E MONARCHICA

Se a prevalere fosse infatti l’opinione di coloro che rifiutano ogni cambiamento nella dottrina e nella prassi pastorale, si accentuerebbe nel futuro la fisionomia di Chiesa che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno di fatto incoraggiato durante i loro pontificati: un’organizzazione sostanzialmente autoritaria e monarchica, con un capo (il papa) che decide tutto e per tutti, sposando sempre e comunque la fedeltà ad una tradizione considerata come un feticcio immutabile. Un’organizzazione nostalgica dell’epoca presecolarizzata, lontana dallo spirito dei tempi, dal “mondo”, dalla sensibilità e dagli orientamenti profondi delle grandi masse dei contemporanei, destinata inevitabilmente a svolgere, nella nostra società, il ruolo di raccogliere ed assistere non solo le ridotte truppe dei fedelissimi della tradizione, ma anche molte delle “vittime” della modernità, coloro che non ce l’hanno fatta a convivere con la cultura della libertà e della scelta e che per questo cercano rifugio in mondi artificiali e “protetti” come quelli delle sette, anche di quelle cattoliche. Un cattolicesimo che potremmo definire “di resistenza”, “difensivo”, settario perché inevitabilmente separato e in conflitto con la cultura del suo tempo, orgogliosamente geloso della propria minoritaria diversità, di un’alterità rigidissima e irriducibile rispetto al resto dell’umanità.

UNA CHIESA APERTA CON IL RISCHIO DI UNA MAGGIORE FRAMMENTAZIONE 

All’estremo opposto di questa forma di Chiesa sta il cattolicesimo che anche Papa Francesco sembra intenzionato, pur con molta gradualità, a promuovere: un’istituzione maggiormente democratica, nella quale non vi è, malgrado l’enorme pressione mediatica in questa direzione, un “uomo solo al comando”, ma nella quale si discute, ci si divide, ci si confronta, si cerca di accantonare la sicumera e l’arroganza di chi giudica e ci si mette in ascolto del prossimo, accettando anche, come inevitabile conseguenza, di dare di sé, come Chiesa, un’immagine meno monolitica e più frammentata, meno ordinata e più plurale. In questa settimana, anticipata dal gigantesco e inedito sondaggio sul tema del sinodo tra i fedeli di tutto il mondo, la “filosofia dell’ascolto” è divenuta realtà, e non solo negli infuocati dibattiti tra gli illustri partecipanti all’assemblea, un fatto comunque senza precedenti nella chiesa-caserma dell’ultimo mezzo secolo dove il dissenso era inammissibile e inesistente, ma anche nelle voci autentiche che sono giunte dalla grande periferia della Chiesa, dalla base cattolica.

I CONIUGI BRASILIANI E I METODI CONTRACCETTIVI

Non si erano mai sentite in un sinodo pronunciare parole come quelle dei cattolici brasiliani Arturo ed Hermelinda, sposati da quarantuno anni e con tre figli: “i metodi contraccettivi naturali – hanno detto i due responsabili regionali dell’Equipe di Notre Dame – sono buoni, ma nella cultura attuale ci sembrano privi di praticità, tanto che anche le coppie cattoliche nella grande maggioranza non rifiutano l’utilizzazione di altri metodi contracettivi”. Un’altra coppia, gli australiani Pirola, ha raccontato di loro amici che hanno un figlio gay e hanno accettato di conoscere e di accogliere in famiglia il suo compagno. I Pirola hanno poi candidamente ammesso di trovare sconcertanti i documenti della Chiesa dedicati alla famiglia: “Sembrano provenire – hanno detto i due coniugi – da un altro pianeta, sono redatti in un linguaggio difficile e non così terribilmente rilevanti per le nostre esperienze. Molte espressioni sono antiquate e presentano concetti che non necessariamente invitano le persone ad avvicinarsi a Cristo e alla Chiesa”.
Parole dure, taglienti come una lama che si infila nel costato per molti di coloro che le hanno udite nell’assemblea. E tuttavia un esercizio di quella parresia che il papa ha invocato all’apertura del Sinodo, di quel pronunciare verità scomode che a prima vista sembra ferire e sconvolgere, ma che in definitiva consiste in un gesto di amore per gli altri, uno dei più grandi che si possano compiere. E in quella sala forse il segno dell’inizio di un tempo nuovo per la Chiesa Cattolica.