Il Sinodo di cui si parla non coincide con quello reale

Lo svolgimento del Sinodo e soprattutto le sue conclusioni hanno scombussolato un mio amico. Si tratta di un cattolico convinto, intellettualmente molto attento e curioso, che tiene molto a documentarsi su tutto. Nel suo disorientamento ha pensato rivolgersi a me e mi ha rovesciato addosso tutto lo sconcerto per ciò che hanno scritto i giornali e trasmesso la radio e la Tv sui temi del Sinodo, sulle diatribe interne e sulle divisioni conclusive. Ha salvato, solo in parte, il Papa per aver detto che i divorziati non sono scomunicati, ma lo ha criticato per aver approvato i gay e tutte le loro iniziative.

IL CONCILIO VIRTUALE 

Io ho cominciato con il riconoscere che egli ha il merito di documentarsi molto leggendo e ascoltando senza stancarsi, ma gli ho anche fatto rilevare che legge e ascolta solo la voce degli “altri”. Ora, leggere i giornali e ascoltare la radio degli “altri” è utile, anzi indispensabile, perché aiuta senz’altro a conoscerli meglio. (Mao Tze Tung diceva che per battere un nemico la prima cosa da fare è conoscerlo bene). Ma se leggi e ascoltai solo la voce del “nemico”, rischi di non saper più chi sono e dove sono i “tuoi”. Secondo me, è questo che sta disorientando. E quando un combattente è disorientato è facile che si perda, che finisca prigioniero o addirittura ucciso.
È quello che sta succedendo adesso, ma che è successo ancora più in grande durante e dopo il Concilio. Benedetto XVI, è risaputo, da giovane partecipò al Vaticano II come esperto e poi, da Vescovo di Monaco e quindi da Cardinale prefetto della Congregazione della Fede, fu impegnato nella sua attuazione. Ebbene a proposito del Concilio ha scritto: «C’era il concilio dei Padri – il vero concilio –, ma c’era anche il concilio dei media. Era quasi un concilio a sé, e il mondo ha percepito il concilio tramite questi, tramite i media. Il concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo è stato quello dei media, non quello dei Padri».
Papa Ratzinger ha poi aggiunto significativamente: «Il concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica. Per i media il concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo.
Sappiamo come questo concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata… E il vero concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi. Il concilio virtuale era più forte del concilio reale».

IL SINODO VIRTUALE

È esattamente quello che sta succedendo con il Sinodo sulla famiglia. Basta guardare i titoli dei giornali e i commenti radio-televisivi.
Se si fosse seguito attentamente quello che hanno scritto e detto i media “nostri”, ma anche quel poco che, malgrado tutto, i media laici han pubblicato in diretta, si sarebbe saputo che il Sinodo non era sulla comunione ai divorziati, ma sulle molteplici e gravi sfide a cui la famiglia in generale e la famiglia cristiana in particolare sono confrontate al giorno d’oggi. (Il problema della comunione ai divorziati è senz’altro un problema sentito, anche solo per le grandi sofferenze che comporta, ma è solo un corollario di una delle sfide che la famiglia deve affrontare).
Se il mio amico si fosse documentato opportunamente, avrebbe scoperto anche che il dibattito sinodale è stato ampio, quanto il quadro dei problemi, è stato impegnato, approfondito e carico di sapienza cristiana. Si trattava, come già per il Concilio, non di calcolare i favorevoli e i contrari a questa o a quella posizione disciplinare della Chiesa. Il Sinodo non era una specie di derby tra due squadre contrapposte, era una riunione di pastori della Chiesa con il compito di trovare il modo migliore, il più adatto, il più convincente per annunciare il Vangelo del Signore, che è quello di sempre, sui problemi di oggi.
Documentandosi sanamente, il mio amico avrebbe pure saputo che si è trattato, come aveva raccomandato il Papa stesso, di un dialogo non preordinato, ma aperto, libero e franco. (Papa Francesco aveva raccomandato ai Padri Sinodali di parlare liberamente, con coraggio, con carità reciproca e che ascoltassero con umiltà). Quindi è fuori di luogo ogni sorpresa scandalistica sui cosiddetti “scontri fra i Sinodali” nelle due settimane dell’assise e di una loro supposta lacerazione sulla “relatio” finale. (I presenti in aula per la votazione erano 183. I paragrafi del documento da votare erano 62. Di questi ben 58 sono stati approvati con una maggioranza di “placet” nettamente superiore ai due terzi, in parecchi casi vicina all’unanimità. Anche i restanti quattro paragrafi [quelli sulle questioni più scottanti: divorziati, gay, ecc.] sono stati pure approvati, ma a maggioranza semplice e con un consistente blocco di voti contrari).
Anche la “notizia” data dai media laici del cosiddetto “imbarazzante” rinvio della decisione finale all’anno prossimo è frutto di disinformazione dei giornalisti che crea disinformazione fra gli utenti. Ogni Sinodo, ho ricordato al mio amico, è convocato dal Papa per consultare i rappresentanti dei Vescovi su determinati temi in vista di decisioni e orientamenti che spettano a lui. I Vescovi si riuniscono, dicono il loro parere sulle questioni loro sottoposte, redigono un documento finale in cui confluiscono le conclusioni delle loro discussioni da cui traspaiano le naturali diversità di posizione, lo consegnano alla riflessione del Papa, che, dopo un certo tempo di riflessione fa il suo pronunciamento sul tema. Il tempo di un anno per preparare il documento finale da parte del Papa è fisiologico, Si vedano, ad esempio, i documenti Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo VI dopo il Sinodo del 1974 sul tema dell’Evangelizzazione e Familiaris consortio (1981) di Giovanni Paolo II dopo il Sinodo del 1980 sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi. Questa volta il papa Francesco stesso aveva preannunciato da tempo che le sue conclusioni le avrebbe date al Sinodo ordinario che avrà luogo nel 2015, quasi come un secondo atto del Sinodo di quest’anno. Nessuna dilazione strumentale quindi. Questo ovviamente, come ha detto ancora il Papa, offrirà il tempo e il modo per continuare la riflessione e aggiungere luce di saggezza e di esperienza.

ACCOGLIERE

Al mio amico ho offerto un ultimo appunto che, a mio parere, meritano i media laici. Tutti hanno sottolineato con enfasi il fatto che il Papa ha dichiarato che «i divorziati non sono scomunicati» e che «i gay e le loro iniziative devono trovare accoglienza e rispetto da parte della Chiesa». Non occorreva una memoria da Pico della Mirandola per ricordarsi che già Giovanni Paolo II nel citato documento della Familiaris consortio del 1981 (33 anni) fa dichiarava che «i divorziati vanno aiutati a non considerarsi separati dalla Chiesa», concetto ribadito più volte in seguito con convinzione da Papi, Vescovi e Parroci. Così pure l’accoglienza rispettosa e perfino amorevole di tutti, quindi anche dei gay, ha radici nello stesso Vangelo. Ma ci vuol poco per capire che accogliere non vuol dire perciò stesso approvare. Quando Papa Francesco dice: «chi sono io per giudicare i gay?», fa immediatamente venire in mente Gesù che dice all’adultera: «Io non ti condanno, ma adesso va’ a casa e non peccare più». Viene in mente anche Papa Giovanni che nella sua enciclica Pacem in terris (1963) dichiara che «Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità» (83).
I media laici hanno creato invece (volutamente?) confusione anche facendo pensare che il rifiuto del Papa di giudicare i gay e i suoi frequenti appelli alla misericordia equivalesse a una loro approvazione pura e semplice. Il Papa ha spesso paragonato la Chiesa ad “un ospedale da campo”. Ebbene, quando un primario di ospedale raccomanda ai medici di essere più umani, non significa che, se uno arriva al pronto soccorso con un infarto devono pensare e devono fargli credere che ha solo un raffreddore.

PECCATORI E FARISEI

Questo discorso però riguarda tutti. Gesù, quelli che si ritenevano giusti rispetto ai pubblicani e alle prostitute, li chiamava ipocriti. Il problema della Chiesa quindi non è tanto quello di definire chi sono i peccatori da convertire o da condannare. Qui non si sbaglia di certo se si pensa che per un verso o per l’altro pecchiamo molto tutti veramente (Papa compreso). Pecchiamo, e molto, in pensieri, parole, opere soprattutto in omissioni. Il problema non è perciò quello di scovare chi sono oggi i peccatori, ma di smascherare quelli che oggi sono i farisei.
Papa Francesco ci vuol far capire questo: tutti, ma veramente tutti, peccatori e sedicenti giusti, abbiamo bisogno di convertirci.