Da Vilminore di Scalve alla Papua Nuova Guinea: un arcivescovo alla fine del mondo

Sono ormai cinquant’anni che mons. Francesco Panfilo, salesiano originario di Vilminore di Scalve, percorre la strada del missionario. Prima nelle Filippine, oggi nell’arcidiocesi di Rabaul, in Papua Nuova Guinea.

Come ha maturato la scelta di intraprendere questa la strada?
«Il desiderio di essere missionario era in me anche prima della vocazione sacerdotale. Infatti, tra i miei sogni di quand’ero bambino c’era anche quello di fare l’autista per i missionari. Quando decisi di farmi salesiano quindi in me c’era già il desiderio di intraprendere questa strada e per questo nelle mie preghiere chiedevo al Signore questo dono. Verso la fine del noviziato feci domanda ai miei superiori per essere mandato in missione. Poche settimane prima della Professione (che avvenne il 16 gennaio 1964) il Maestro di noviziato mi informò che la mia richiesta era stata esaudita e che ero stato destinato alle missioni salesiane del Sud Africa. Tuttavia quelli erano gli anni dell’apartheid e dopo otto mesi di attesa la richiesta del visto per il Sud Africa fu negata. Quello fu un colpo un po’ duro da accettare, tuttavia le vie del Signore sono misteriose ed infinite».

Cosa successe?
«Nei primi giorni di Maggio del 1965, Padre Carlo Braga, grande missionario in Cina e fondatore dell’opera salesiana nelle Filippine, venne a Nave a predicare il ritiro mensile alla comunità dei chierici salesiani. Quando Don Braga seppe che a me ed un altro mio compagno era stato negato il visto per il Sud Africa, ci disse: “Volete venire nelle Filippine?” Ricordo che gli risposi: “Dovunque, purché missionario”. In poche settimane tutto fu predisposto per la partenza e il 18 maggio del 1965 arrivavo a Manila. Lì cominciò la mia avventura missionaria: non sapevo ne’ l’inglese ne’ il Tagalog (l’idioma locale). Completai lì i miei studi di filosofia, feci quello che i salesiani chiamano “il tirocinio” (due anni di insegnamento tra i giovani) e iniziai gli studi di Teologia presso l’Università di Santo Tommaso a Manila. A causa dei turbamenti politici di quegli anni (che culminarono con l’imposizione della legge marziale nel settembre 1972 da parte del Presidente Marcos) a giugno del 1971 i miei superiori decisero che era più prudente farmi terminare gli studi in Italia. Nel 1974, il 27 aprile, fui ordinate sacerdote nella parrocchia dalla quale provenivo, a Vilminore di Scalve, da monsignor Clemente Gaddi, vescovo di Bergamo».

E ritornò subito in missione…
«Nel luglio dello stesso anno rientrai nelle Filippine dove ho esercitato il ministero sacerdotale in ambienti giovanili ed educativi e anche nella formazione dei giovani salesiani delle Filippine. Dal 1987 al 1993 fui chiamato a dirigere la Provincia salesiana delle Filippine, che comprendeva anche le comunità salesiane di Timor Est e della Papua Nuova Guinea. Nel 1997 fui trasferito a Papua Nuova Guinea, dove nel 2001 fui nominato vescovo di Alotau. Nel 2010 infine l’ultimo trasferimento, nella arcidiocesi di Rabaul, dove mi trovo tuttora. Nel 2015 quindi saranno 50 anni dal giorno in cui sono partito per le missioni, dei quali 32 anni passati nelle Filippine e quasi 18 in Papua Nuova Guinea».

Come può raccontare la diocesi dove si trova oggi?
«Oggi mi trovo a Rabaul, sulla grande isola della Nuova Britannia, che è divisa in due province: East New Briatain (dove mi trovo) e West New Britain. Dal 1997 la sede della Diocesi si è trasferita da Rabaul a Vunapope (che letteralmente vuol dire: “città del Papa”), a causa dell’eruzione di due vulcani che il 19 settembre del 1994 distrussero la cittadina di Rabaul. Anche quest’anno, il 29 agosto, proprio pochi gironi dopo il mio rientro dall’Italia, c’è stata una nuova eruzione, meno tragica di quella di venti anni fa, ma che ha danneggiato gravemente l’agricoltura locale, creando numerosi problemi per la popolazione che naturalmente vive di quello che viene prodotto nei campi. La popolazione della Provincia di East New Britain conta circa 280.000 abitanti, dei quali 160.000 sono cattolici. La diocesi ha 39 parrocchie, divise in tre vicariati: il vicariato di Rabaul, quello di Kokopo e infine quello di Pomio. Mentre le parrocchie dei vicariati di Rabaul e Kokopo sono facilmente raggiungibili, per raggiungere quelle del vicariato di Pomio bisogna fare uso di una barca e “dell’asino di San Francesco”, cioè dei piedi. Quando mi trovavo ad Alotau la difficoltà maggiore erano le grandi distanze da percorrere, ovviamente in barca, per raggiungere tutte le isole, ma lì la popolazione viveva prevalentemente sulle coste. Nella diocesi di Rabaul, invece, oltre a dover fare uso della barca, bisogna camminare per ore e ore per raggiungere le comunità che vivono nelle vallate e sulle montagne».

Quali sono le attività che la impegnano?
«Cerco di visitare le parrocchie almeno due volte all’anno, anche se non è sempre possibile. Questo è il modo migliore per mettere in pratica il piano pastorale che abbiamo elaborato nel gennaio del 2013, che si base su tre pilastri: la proclamazione della Parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti e la Costruzione della Comunità nella Carità. Con l’aiuto dei sacerdoti (45 diocesani e 15 religiosi), dei religiosi e delle religiose, di oltre 100 catechisti e molti laici, si spera di raccogliere dei buoni frutti. I fedeli rispondono bene e si può dire che la maggioranza dei cattolici praticano la fede con entusiasmo e vivacità. Come Vescovo di Rabaul considero anche mio dovere far conoscere sempre di più alla gente della diocesi di Rabaul e della chiesa della Papua Nuova Guinea (ma anche della Chiesa Universale) la figura di Pietro To Rot, catechista martire per la difesa del sacramento del matrimonio e della famiglia Cristiana. È uno dei due martiri della Chiesa in Papua Nuova Guinea: il primo è il sacerdote Giovanni Mazzucconi, di Rancio di Lecco, che fu martirizzato sull’isola di Woodlark nel 1855 e beatificato da Giovanni Paolo II nel 1984. Il secondo, invece, è per l’appunto Pietro To Rot, che fu martirizzato nel 1945 dai giapponesi per la sua fedeltà all’insegnamento di Cristo e in difesa del sacramento del matrimonio. Fu anch’egli beatificato da Giovanni Paolo II nel gennaio del 1995. La beatificazione avrebbe dovuto svolgersi a Rabaul, essendo Pietro To Rot della parrocchia di Rakunai, non lontano da Rabaul. Ma a causa dell’eruzione dei due vulcani nel settembre del 1994, la cerimonia di beatificazione si tenne a Port Moresby».

Qual è il rapporto che mantiene con la sua Terra d’origine?
«Per prima cosa devo fare una piccola premessa: non ho mai sofferto la nostalgia, ciò nonostante sono molto legato al mio paese, alla mia gente e alla mia valle. Quando mi è stato chiesto di commentare il motto del mio stemma episcopale (“Duc in altum”, che significa portati al largo), ho fatto mie le parole del Santo Giovanni Paolo II, che diceva che le parole dello stemma “ci invitano a ricordare il passato con gratitudine, a vivere il presente con entusiasmo e a guardare al futuro con fiducia perché Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”. Ecco, per ricordare il passato, soprattutto le mie origini scalvine, dove ho appreso principi e valori cristiani che mi hanno accompagnato per tutta la vita, ho messo nel mio stemma il profilo della Presolana e il simbolo della Valle di Scalve. Mi sono sempre sentito come un “mandato”, come un rappresentante della comunità cristiana di Vilminore e della Valle nei paesi dove ho esercitato il ministero sacerdotale e missionario. La gente di Vilminore e della Valle è sempre stata molto generosa con me: sostenendo la mia azione missionaria con la preghiera e con generose offerte. Questo rapporto con la nostra gente si è tradotto anche nei progetti “Acqua per la Vita” eseguiti sull’isola di Goodenough dal Gruppo Africa della Valle di Scalve. Questi progetti che riguardano il sistema idrico, oltre ad avere effetti positivi per quanto riguarda il miglioramento della sanità e dell’igiene della gente, hanno anche contribuito a unire le comunità locali, impressionate anche dalla laboriosità delle persone che venivano da lontano non per turismo ma per essere loro solidali. Inoltre questi progetti hanno dimostrato ai leaders politici che con buona volontà si può realmente migliorare la vita delle popolazioni».

Ci sono persone che le sono state d’esempio, che hanno contribuito a farla diventare la persona, e il sacerdote, che è oggi?
«Guardando indietro ci sono tante persone che hanno contribuito alla mia formazione umana, cristiana, salesiana, sacerdotale e missionaria. Prima di tutto, i miei genitori: la loro fede senza fronzoli, la preghiera, il senso del dovere, l’accettazione di una povertà dignitosa. Come dicevo prima, io mi sento molto attaccato al mio paese, alla sua gente, e mi sento in debito con tutti per gli esempi ricevuti. Quando mi sono trovato davanti a qualche difficoltà ed ero tentato dallo scoraggiamento, pensavo ai miei genitori, all’ottimismo di mio papà e alla nostra gente.Ci sono anche figure importanti di sacerdoti che ho incontrato nella mia vita: gli arcipreti e i curati che hanno contribuito alla mia formazione umana e cristiana e mi sono sempre stati esempi nella vita sacerdotale. Naturalmente nella mia vita missionaria e salesiana ho incontrato grandi di figure di religiosi (i miei insegnanti a Chiari il mio maestro di noviziato) e missionari, come Don Carlo Braga. Nei miei anni nelle Filippine infine ho avuto il privilegio dell’amicizia del Cardinale Sin, un esempio di prudenza e coraggio, di umiltà e fierezza, di amore al suo popolo e alla Chiesa, un vero Pastore».