Dal Sudamerica a Bergamo una comunità a colori: la prima sfida è vincere la diffidenza

Bergamo sta diventando sempre di più una comunità multiculturale, in cui trovano posto persone che arrivano da tutto il mondo. Spesso vengono accolte con diffidenza e con un po’ di timore, e così si perde un’occasione. Forse non tutti lo sanno, ma ci sono sul territorio comunità cristiane di stranieri vivacissime e molto attive che fanno riferimento all’Ufficio diocesano dei migranti e promuovono iniziative di solidarietà, serate musicali, celebrazioni, feste, associazioni, momenti di incontro per favorire la conoscenza reciproca e l’integrazione. Con questo dossier iniziamo un viaggio alla scoperta di queste comunità straniere presenti in diocesi, per conoscerle meglio, con le loro gioie, fatiche, difficoltà e iniziative.

Boliviani ma anche peruviani, ecuadoriani, brasiliani, cileni, cubani: c’è posto per tutti al Centro San Lazzaro, grazie a Don Mario Marossi e la sua missione “Santa Rosa da Lima”, l’unica cappellania presente al momento nella diocesi di Bergamo. Il cammino della Chiesa bergamasca con i latinoamericani vede il prezioso accompagnamento di suor Maria Pia e suor Priscilla dell’Istituto Suore del Bambino Gesù “Nicola Barrè” che donano un profumo di famiglia al Centro, con la loro costante presenza e paziente ascolto.
«La comunità latinoamericana di lingua spagnola, in particolare boliviana, è la più numerosa e quella che da più tempo è presente sul territorio – spiega don Mario -. Quando è iniziato il boom di immigrazioni di latinoamericani in Europa, sono nate strutture e organizzazioni pastorali che potessero venire incontro alle loro esigenze religiose, in modo che potessero continuare a vivere la fede secondo le modalità proprie della loro cultura».
Non è stato facile all’inizio, come spiega suor Priscilla: «Erano quasi tutti senza permesso di soggiorno, avevano paura della polizia, non conoscevano l’italiano, per questo abbiamo organizzato dei corsi di lingua. Dal 2007, una vera e propria ondata di migranti ha investito il nostro Paese e pian piano queste persone hanno iniziano a prendere coscienza del territorio, a vincere i timori e a ottenere i permessi di soggiorno. Sono nati nuovi nuclei familiari e nel Centro sono sorte associazioni spontanee a carattere culturale, folcloristico e sportivo».
C’è poi l’aspetto pastorale, parte fondamentale della Missione: «Cerchiamo di creare occasioni di incontro e di coinvolgerli nella vita della comunità – spiega Suor Maria Pia – nel rispetto della loro situazione religiosa e civile». L’animazione liturgica domenicale in lingua spagnola, la catechesi, il gruppo di canto, racconta Suor Priscilla: «Sono piccole grandi occasioni di incontro e condivisione: è un cammino da compiere, sempre in evoluzione, per far crollare pregiudizi, barriere, paure». All’inizio le difficoltà non mancavano, spiegano Suor Priscilla e Suor Maria Pia: «Tanti comunicavano il dolore per la lontananza dalla patria e dalla famiglia, che metteva in pericolo anche i legami coniugali. E poi la preoccupazione per i figli affidati alle cure dei parenti». Ma la più aspra difficoltà è quella dell’incontro con la comunità: quella bergamasca è una mentalità poco aperta all’interscambio, prosegue Suor Priscilla: «Non sempre si riesce a instaurare un rapporto semplice, alla pari. C’è anche tanta ignoranza, pochi sanno che i latinoamericani sono cristiani e che molti di loro hanno titoli di studio purtroppo qui non riconosciuti. Si ha paura, ci si sente minacciati, ci vorrà tempo». Dal 2010 in avanti i boliviani hanno rafforzato le loro organizzazioni: sono nati ristoranti, negozi, si sono moltiplicate le piccole imprese. L’obiettivo della Missione è sempre stato mirato a cercare di non creare dei ghetti ma puntare sull’inserimento delle comunità nelle parrocchie. «Ogni anno nascono più di 200 bambini da boliviani a Bergamo, anche da unioni miste» spiega don Mario. Per ciò che riguarda la religione c’è un’indubbia difficoltà con cui l’immigrato è portato a vivere la fede qui, continua don Mario: «È molto più facile che la accantoni, sono pochissimi gli immigrati che frequentano le Sante Messe, vivono la fede a livello di feste religiose, di funerali, di folclore, ma poco nella preghiera e nel raccoglimento quotidiano. Spesso questo accade perché non si sentono accolti, non hanno agganci stabili qui che li possano coinvolgere». Contribuisce a questo anche il pullulare di moltissimi gruppi minori dove possono ritrovare se stessi, nella lingua, nelle tradizioni; perché ogni comunità sudamericana si è organizzata attorno a una festa particolare: per i boliviani è la Virgen de Urkupiña: una cerimonia per ricordare l’apparizione della Madonna, avvenuta nel 1500 circa a Quillacollo, piccolo villaggio vicino a Cochabamba. Costumi dai colori sgargianti, un tripudio di danze e musiche che amano trasmettere per generazioni e generazioni. Senza allontanarsi dalle proprie tradizioni, spiega don Mario: «Ci sono anche tante persone adulte che vengono a chiedere di ricevere i sacramenti, molte riscoprono la fede a fondo, diventando anche volontari e mettendosi al servizio del prossimo». Il pranzo domenicale, la preghiera del rosario con le famiglie, la proiezione di filmati, l’esercizio dei canti, tutto contribuisce a formare una comunità conviviale. Nel futuro è auspicabile un ulteriore passo in avanti, dice Don Mario: «L’idea di una cappellania generale dove si pensi anche a una parrocchia multietnica, un luogo di mediazione dove ci sia posto per tutti e che sia anche un laboratorio per le parrocchie stesse». Il fenomeno della migrazione tocca aspetti umani e religiosi, è una realtà contrastata ma da guardare con occhi positivi. «È incredibile la sensibilità dei latinoamericani – racconta Suor Maria Pia – basta il saluto con il tono di voce giusto, un sorriso o uno sguardo più attento. I loro occhi portano desiderio di essere accettati, ma anche l’innata capacità di accogliere il prossimo e condividere». È una civiltà che porta doni preziosi, si perde molto chi li disprezza.