Si può dialogare con il mondo islamico? Questa è la domanda che si ripropone anche questa volta, davanti ai tragici fatti di Parigi. La prevedibile reazione di una parte dell’opinione pubblica europea risponde decisamente di no. E poiché la questione non è primariamente quella teologica dell’ecumenismo, ma quella politico-sociale dell’immigrazione, ben si comprendono le conseguenze di conflitto di una tale risposta.
ISLAM: DIO ASSOLUTO E SOTTOMISSIONE DELL’UOMO
Ci si può solo limitare a notare, qui, che l’ipertrofia ideologica aggressiva della destra europea è, d’altronde, solo l’altra faccia dell’atrofia culturale della sinistra progressista. Tuttavia, per rispondere sì, occorre definire con rigore le condizioni alle quali si possa definire il dialogo: alcune dipendono dai mussulmani, almeno una, decisiva, da noi. Partiamo dal “principio di realtà”, mettendo in discussione alcuni dogmi-luoghi comuni del politically correct, alimentati tanto nell’opinione pubblica cattolica e, soprattutto, laica. Che cos’è l’Islam? L’Islam è una costruzione sincretica, in cui confluiscono elementi teologici pre-esistenti: ebraici, cristiano-ariani, cristiano-nestoriani, zoroastriani, che Maometto, durante i suoi vagabondaggi commerciali tra la fine del 500 e l’inizio del 600, ha raccolto, frequentando le basiliche della Siria, grande centro intellettuale del Cristianesimo, dotato di scuole di traduzione dei testi sacri dall’aramaico, all’arabo, al greco. Ha raccolto e genialmente assemblato per costruire una religione semplice, senza dogmi, senza clero, e una morale sociale e sanitaria adatta a tenere insieme le tribù del deserto. Ciò che è affermato con forza è il Dio assoluto, pura Volontà e Potenza, che parla al credente attraverso il profeta, cioè Maometto stesso, ultimo dei profeti abramitici, tra i quali anche Gesù. Il fedele è tenuto a sottomettersi (Islam significa, appunto, sottomissione) alla volontà di Allah, che si manifesta attraverso il Corano, dettato da Allah attraverso un angelo a Maometto e da lui ad alcuni discepoli (la versione definitiva si consolida a un paio di decenni dalla morte del Profeta), interpretato dalla comunità politico-religiosa (la Umma) attraverso la formulazione della legge islamica, la Sha’ria: la legge positiva islamica. I cinque pilastri (la testimonianza di fede, le preghiere rituali, l’elemosina, il digiuno durante il mese di Ramadam, il pellegrinaggio a La Mecca) e la Sha’ria sono i binari.
L’UOMO NON È LIBERO E LA RELIGIONE NON SI SEPARA DALLO STATO
La cultura religiosa e politica che origina dal Corano è del tutto diversa da quella cristiana. Mancano due punti decisivi: la libertà dell’uomo e la separazione netta tra religione e Stato. Se Allah impone, il Dio cristiano propone; se Allah costringe la tua volontà, Dio parla alla tua ragione; se ti sei sottomesso, lo sei per sempre; il Dio cristiano ti lascia libero di andartene. Il Dio cristiano ti lascia libero di dirgli di no. La libertà religiosa è tanto libertà di rifiuto della religione quanto libera scelta di una qualsiasi religione. La storia del Cristianesimo e della Chiesa è stata largamente contraddittoria sul punto in questione. Dopo Costantino, l’identificazione tra religione, Chiesa e Stato è stata crescente. L’età costantiniana è durata fino al Concilio Vaticano II, dopo aver attraversato le tempeste dell’Umanesimo, della nascita dello Stato moderno, del Rinascimento, del Seicento scientifico, dell’Illuminismo, del Marxismo ecc… La libertà religiosa – l’archetipo e il fondamento di ogni libertà umana – è stata conquistata in Europa attraverso lotte sanguinose e secolari.
A PROPOSITO DI DIALOGO. IL RUOLO DELLE DONNE
Stanti queste differenze radicali, si può dialogare con i mussulmani? Sì, tenendo presenti alcuni dati di realtà, se non si vuole fare della retorica inconcludente. Occorre, intanto, distinguere tra gli intellettuali e i teologi, di cui solo pochissimi accettano il discorso delle libertà, e la massa dei mussulmani, più aperta. Poi, si deve prendere atto che in quasi tutti i Paesi a regime islamico il dialogo è vietato; si può solo praticare la testimonianza silenziosa, sul modello di Charles de Foucauld. Perciò il dialogo si costruisce in Europa, dove abitano milioni di mussulmani (sono circa sedici milioni i mussulmani che vivono nel vecchio Continente). Gli immigrati sono una formidabile forza potenziale di evoluzione dell’Islam. Per praticare il dialogo con loro, occorre partire dal rifiuto della sha’ria come principio di organizzazione civile e giuridica. Non possiamo accettare che venga praticata nel chiuso delle comunità islamiche immigrate, dentro le quali vengono riprodotti i rapporti di oppressione verso le donne. La cartina di tornasole è il ruolo delle donne. La quarta condizione riguarda noi. L’Islam esercita un fascino su frange delle giovani generazioni, perché si presenta come una visione compatta, che tiene insieme la vita quotidiana con una dimensione religiosa che la oltrepassa. La ragione scettica europea e occidentale, per la quale la religione è considerata hegelianamente uno stadio inferiore della coscienza umana, non è certo in grado di porsi come interlocutrice dell’Islam. La speranza è che il fascino delle libertà umane diventi un motore di liberazione.