«Mio figlio, la droga e l’alcol: i problemi non si risolvono col silenzio»

«Più lo si tiene nascosto, più siamo complici del loro lasciarsi morire. Non è una colpa avere un figlio tossicodipendente: lo è nasconderlo, perché ciò non fa altro che lasciarlo solo nella sua dipendenza. Solamente attraverso un’allenza tra genitori ed associazioni si può sconfiggere il problema». Anna quest’esperienza l’ha vissuta sulla propria pelle: per questo ha deciso di esporsi in prima persona, raccontando la sua storia giovedì sera, alle ore 20, nella Sala dei Mille dell’Hotel Excelsior San Marco. Un evento organizzato dall’Associazione Genitori Atena – prevenzione alle dipendenze, «Un bicchiere o una canna…giovani a rischio dipendenza. Dalla scienza all’esperienza».
(Prenotazioni Sig.ra Giovanna Locatelli cell. 339 3056238). Oltre alla testimonianza di Anna, porterà il suo contributo il prof. Roberto Cavallaro, primario della Disease Unit per i disturbi psicotici dell’Ospedale San Raffaele e docente di Farmacologia delle funzioni cognitive alla facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, mentre modererà la serata il professor Gianvito Martino, che attualmente dirige la divisione di Neuroscienze dell’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano e insegna biologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. La signora Anna ha voluto anticipare la sua storia di vita al Santalessandro: «Sono una donna, una moglie, una figlia e una sorella. Sono la mamma di Giulia e Cristiano. Ma soprattutto, per tanto tempo, sono stata la mamma di un figlio tossicodipendente. Cristiano è nato nel 1993: un’intelligenza superiore alla norma, una competenza sociale precaria. In bilico fra vette di successi al di là della sua età, a scuola voti eccellenti, cintura nera di judo, con tre anni di anticipo, un talento del pianoforte e rovinose cadute nelle relazioni: amicizie difficili, improvvisi sbalzi d’umore e crisi d’ansia,  arriva alla prima superiore». Ma ad Anna Cristiano non pare sereno, anzi, le sembra che sia sopraffatto dalla sua sfera emotiva. Prova a parlarne con gli insegnanti, ma per tutta risposta le dicono che si tratta di una «normale fase adolescenziale».
Ne parla con la sua dottoressa e dopo alcuni esami Cristiano risulta celiaco e ha avuto la mononucleosi. Tutto sembra risolversi, fino al terzo anno delle superiori. «Cristiano appare velocemente sempre meno sereno – continua Anna -: i suoi occhi sono spesso arrossati e stanchi, i voti calano vertiginosamente, le ore in casa passano fra pennichelle e computer. Vengo chiamata a scuola, i professori sono arrabbiati: Cristiano non solo non studia, ma è arrogante e parla apertamente di “fumo”. Lo affrontiamo, lui nega. Noi teniamo duro».
Gli tolgono computer e cellulare, gli negano le uscite. Ma poi tutto ricomincia. Viene bocciato e mandato a lavorare. «Ammette di usare marijuana, ma promette di smettere. Noi vogliamo sperare e credergli. E invece, ormai, il volo verso l’inferno è iniziato. Nei due anni successivi, nonostante i nostri mille interventi, Cristiano semplicemente si annulla nelle sostanze e nell’alcol». I sentimenti che Anna prova in questo periodo sono diversi: «Avevo paura per lui, per quello che sarebbe potuto accadergli. Poi c’era la tentazione di non dare importanza, di accettare le sue spiegazioni, i suoi “Lo faccio solo una volta, posso smettere quando voglio”. Più avanti la sensazione di smarrimento: quello che facevo non aveva nessun effetto. Il mio senso di impotenza si alternava al senso di onnipotenza, quando riuscivo per un sabato a non farlo uscire e non beveva. C’è voluto molto tempo per capire che non potevo affrontare il problema da sola: accettare che qualcuno sappia più di te sul proprio figlio è veramente difficile».
Difficoltà a cui si aggiunge l’omertà degli altri genitori: «Contatto le altre famiglie, quelle dei suoi “amici”. “Aiutiamoci” dico loro, “facciamo fronte comune per i nostri figli”. Nulla: pare che io sia l’unica ad avere questo problema. Eppure quando vago di notte per cercare mio figlio che non è nel suo letto, non lo trovo da solo, accasciato sui marciapiedi a vomitare. È sempre con altri ragazzi. Quando mi chiamano da scuola o in questura perché ha combinato qualcosa, non è mai solo: c’è sempre qualcuno con lui. Questa omertà degli altri genitori ha allungato i tempi di intervento: per questo le alleanze tra gli adulti sono importanti. Ormai procurarsi droga o alcol è davvero facile e poco costoso. Se la società abbassa i livelli di guardia e rende la dipendenza un qualcosa di cui non si può parlare o di cui non si ammette nemmeno l’esistenza, loro rimangono soli, con chi specula su queste cose». Cristiano arriva a usare di tutto ed in casa spariscono i medicinali, ruba soldi e gioielli.
Viene ricoverato due volte all’ospedale per «stato d’incoscienza». La seconda volta Anna lo porta all’ospedale di Bergamo: è svenuto nella sua camera di notte e non la riconosce neppure più. Lavanda gastrica, consulto psicologico e psichiatrico: ansiolitici e uno sguardo severo, come a dire «Signora, lei dovrebbe curarlo di più questo ragazzo!» Quando torna in sé, a casa, Cristiano esce per comprare una birra. E in quel momento Anna capisce che deve avere la forza per dire basta: «Sono arrivata al punto che ho capito  che sarebbe stata solo una questione di tempo e sarebbe arrivato il giorno in cui l’avrei ritrovato all’obitorio. Quando è tornato, ha trovato la porta chiusa, la serratura cambiata e un piccolo zaino con la biancheria, accompagnato da un biglietto: “Ti voglio troppo bene per lasciarti morire. Chiamami quando vorrai uscirne davvero”. Cristiano per un po’ sta fuori casa, ogni tanto chiama la madre, o per andare a recuperare qualche vestiario, o per i problemi di cibo. “Vuoi andare in comunità?” gli chiedevo ogni volta. Alla sua risposta negativa, attaccavo il telefono. Finché non è stato lui a chiamarmi e a dirmi che voleva andare in comunità». Cristiano da 21 mesi si trova nella comunità di San Patrignano a Rimini: piano piano sta riprendendo in mano la sua vita e affrontando le sue fragilità. «Per ora il percorso per fortuna sta andando bene – conclude Anna -. Sta lavorando e se vorrà potrà poi riprendere gli studi. È un percorso lungo: ci vorranno ancora anni. È importante in ciò anche la costanza della famiglia: ogni settimana ci incontriamo con altri genitori, confrontandoci e cercando di capire come potremo aiutare poi i nostri figli». E ai genitori che si trovano in situazioni come la sua lancia un messaggio: «Fate rete, sia fuori che dentro la famiglia. È molto importante».