Mi sono ammalata, gli altri pregavano per me. Così ho riscoperto Dio

Nazoralda Gjoshi, 33 anni, una vita passata tra l’Albania (il suo paese natale) e l’Italia, una laurea in Giurisprudenza, e una storia di fede e di coraggio da raccontare. “Era il 2013 quando ho iniziato a sentire che mi mancava un po’ il respiro. Il medico disse che si trattava di un’influenza, ma poi le mie condizioni di salute peggiorarono: non riuscivo nemmeno più a fare due passi. Finì in codice rosso al pronto soccorso del Papa Giovanni XXIII. Mi ricoverarono nel reparto di pneumologia: avevo i polmoni pieni d’acqua, soffocavo. Era una corsa contro il tempo.”
“Capivo che la situazione era grave ma non mi rendevo davvero conto di quanto potesse essere seria. Poi l’equipe medica mi disse che si trattava di un linfoma. Nemmeno allora ho voluto capire di cosa si trattava, eppure, con la tecnologia a portata di mano, sarebbe stato una questione di pochi attimi. Ero una fifona, e mi dicevo che sarebbe stata solo una situazione di passaggio, volevo stare nella mia ignoranza. Poi mi trasferirono nel reparto di ematologia. Lo ricordo ancora, era un sabato. Il medico entrò nella mia stanza e mi disse: Lunedì iniziamo la chemio.” La diagnosi parlava di leucemia linfoblastica, una leucemia di natura maligna con carattere progressivo; una malattia che prevede una terapia lunga ma che ha tante buone possibilità di essere curata. “Mi sono sottoposta a otto cicli di chemio, quattro dei quali pesanti, tanto da rendere necessario il ricovero. E tutto il mio mondo è cambiato.” La donna indipendente che non aveva bisogno di nessuno si è riscoperta fragile. “Stavo nella camera sterile. Lì non ero in grado di fare nulla, dipendevo dagli altri. Avevo staccato con il lavoro, al centro c’era esclusivamente la mia guarigione. Finalmente potevo guardare me stessa, fare un bilancio di quello che avevo fatto o meno nel corso della mia vita. Tutto sembrava così piccolo di fronte a un male che arrivava all’improvviso, e dal nulla.” Ma Alda non è mai stata sola. “La solidarietà dei miei parenti e delle mie amiche è stata forte. Ogni giorno potevo ricevere due visite: la prima era quella di mia mamma, per la seconda si era creata una lista d’attesa con chi voleva starmi vicino.” E in quei giorni c’è stato anche il tempo per la religione. “In Albania non avevo ricevuto il battesimo e avevo vissuto un contesto davvero multireligioso, la mia stessa famiglia lo era. Sin da bambina avevo frequentato la moschea, la chiesa ortodossa e quella cattolica. I miei genitori mi avevano lasciato la libertà di scegliere quale fosse la religione a cui sentivo di appartenere, ed era la fede cattolica quella che sentivo più vicina a me. Avevo già pensato di battezzarmi, e avevo iniziato un percorso di catechesi nella parrocchia dove abitavo prima di trasferirmi a Bergamo, ma i dubbi avevano avuto il sopravvento. Quando affronti la catechesi da adulta i dubbi li hai ma non su Dio, piuttosto su quello che l’uomo ha fatto nei secoli. Durante la mia malattia ogni mio parente pregava per me a suo modo, secondo il proprio credo, e questo mi ha colpito moltissimo. Ogni preghiera veniva comunicata ai miei genitori, che poi ne facevano una piccola lista e me la portavano.” Un episodio, in particolare, è rimasto nella mente (e nel cuore) di Alda. “Un giorno mi sono data appuntamento con mia mamma e con una zia. Ognuno di noi si trovava in un luogo diverso, ma alla stessa ora ci siamo fermate e abbiamo iniziato a pregare. Eravamo lontane fisicamente, ma vicine nella preghiera. Nei momenti nei quali stavo male davvero mi dicevo: se avrò una chance farò il battesimo, così mi metterò in pari con Dio. Quella che sto passando è una bella prova, ma poi così ricominceremo insieme e con il piede giusto.” Nel corso delle cure Alda ha perso i capelli, ma non il senso dell’umorismo e la forza d’animo. “Non mettevo le parrucche. Io ero così, non volevo usare qualcosa di “finto” per coprire quello che ero. In testa mettevo dei foulard colorati e sulle labbra del rossetto rosso, così recuperavo la mia femminilità. Mi accettavo così come ero.” Una volta superato il momento più critico della malattia, una volta che i risultati della PET sono diventati negativi, Alda è andata nella parrocchia di S.Anna, si è presentata al parroco e ha chiesto di poter fare il percorso da catecumena. “Quel giorno ho conosciuto anche la mia catechista, Maria Grazia, una persona straordinaria. Il catechismo per me è stato un momento di pace, di tranquillità, un momento di scambio con chi avevo a fianco.” Oltre al cammino che l’ha portata al battesimo, Alda ha iniziato un altro percorso, quello del volontariato. “L’esperienza che ho affrontato è stata un tesoro per me, Lui mi ha scelto per andare avanti, così io non posso far altro che raccontare agli altri quanto mi è successo e cercare di dar loro coraggio. Lo faccio come volontaria nell’associazione Paolo Belli. La malattia ti insegna a apprezzare la vita, le piccole cose: guidare o fare semplicemente la spesa, mangiare il cibo crudo, cose così.”

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