N.P.S.D.A. – Lo stemma di un vescovo mancato

Il mio diario non è certo il Giornale dell’anima di Papa Giovanni. È poco più che un’accozzaglia di appunti su un po’ di tutto, dalla cronaca, alla fantasia e alla riflessione spirituale. Di tanto in tanto riprendo in mano quel materiale, ormai abbondante, per rivedere com’ero e per dove sono passato, e a volte trovo ricordi che mi mettono un’allegria molto utile nella mia attuale condizione di emerito. Eccone uno che, senza pretese, mi auguro possa dare allegria e un briciolo di fiducia anche a qualche lettore.

UN VESCOVO TEORICAMENTE NON IMPOSSIBILE

Mi trovavo anni fa con un parrocchiano davanti alla chiesa di una delle parrocchie in cui ho fatto il parroco. L’amico notò sopra l’ingresso principale del tempio lo stemma del Vescovo. Incuriosito, mi chiese spiegazioni sul perché, il significato e l’utilità di quell’emblema. Le mie cognizioni in materia di araldica sono pari a quelle d’un babbuino in matematica e quindi risposi come potei, con molti colpetti di tosse, molti cioè e moltissimi quindi.

«Senti un po’: – mi chiese a bruciapelo, vedendomi annaspare – hai qualche speranza tu di diventare vescovo?».

Un tantino mortificato dal tono della domanda, risposi: «O Dio, in teoria ho qualche possibilità in più di mia sorella; ma in pratica ammetto che ne ho tante come lei».

«Allora a te non serve lo stemma» concluse spiccio.

«Non è detto! – ribattei piccato -. Non è necessario essere vescovi per darsi uno stemma. Se proprio vuoi saperlo, io me ne sono fatto uno bellissimo».

IL MIO MOTTO 

Divertito dall’idea, l’amico volle sapere cosa rappresentava e io glielo dissi con foga, perché, modestamente, il mio stemma è davvero un piccolo capolavoro.

«E qual è il motto che ti sei dato?» chiese curioso.

«È una sigla». E scandii solenne: “N.P.S.D.A.”.

«E cioè?».

«Semplice. Non P Stupido Degli Altri”.

«Bellissimo! – esclamò entusiasta – Ma come ti è venuto in mente?».

«Fu a Loreto, durante un convegno nazionale di preti. Dopo la messa, i numerosi concelebranti dovevano, come al solito, firmare nell’apposito registro. Prima di me firmarono diversi sacerdoti. Notai che i religiosi, con una certa enfasi, accostavano al proprio nome la sigla dell’istituto di appartenenza: OP i Domenicani, OFM i Francescani, SJ i Gesuiti e così via sine fine dicentes.

Io, essendo diocesano, non avevo diritto di sigla e incominciai a vergognarmi come uno che viene a trovarsi nudo in mezzo a tutti gli altri vestiti.

In quel brutto momento capii il dramma di tanti cristiani comuni, che di fronte, che so?, ai ciellini, ai focolarini, ai neocatecumenali o a qualsiasi altra denominazione ecclesiale, non hanno altro da esibire che il battesimo, la cresima e la misera appartenenza alla parrocchia di Vattelapesca.

Essi ad un tratto scoprono con raccapriccio che non potranno mai sapere che cosa è la comunione ecclesiale, né come si fa a tradurre la fede in opere, come sanno bene invece i ciellini. Non potranno mai fare l’esperienza di “Gesù in mezzo” e dell’amore vero, carisma proprio dei focolarini. Per sempre saranno esclusi da ciò che è vera catechesi e autentico cammino di fede, se non si accosteranno ai neocatecumenali. Non potranno mai avere quel segno di predestinazione che è la devozione della Madonna, se non ascolteranno Radio Maria e se non sono andati almeno una volta a Medjugorje…

Che cosa potevo fare in un simile frangente? Ho fatto ricorso a tutta la forza residua della mia autocoscienza fortemente scossa e lì per lì mi sono inventato una sigla adatta a togliermi da ogni imbarazzo e fu appunto N.P.S.D.A.: Non più Stupido Degli Altri».

I MOTTI VANNO ATTUATI

Quando ti ci metti sei forte! – mi disse dandomi una pacca sulla spalla -.  Ora quello slogan puoi sbatterlo in faccia a tutti».

«Certo! Lo sbatto in faccia volentieri innanzi tutto ai sedicenti ‘liberi’ pensatori che sorridono supponenti della nostra fede oscurantista… ».

Ma l’amico mi interruppe con un sorrisino: «E nella Chiesa no? Non lo sbatti in faccia a nessuno?».

«Il problema c’è anche nella Chiesa; certo! – dissi tranquillo. Tant’è che l’idea di quella sigla mi è venuta appunto in chiesa. Lì però non mi son mai sentito nella necessità di “sbatterlo in faccia” a nessuno. In chiesa siamo un po’ come in famiglia. Perciò la mia sigla la faccio presente ogni volta che occorre, ma sempre sorridendo. E lo faccio sia davanti all’autorità, e ai notabili, quando capita che scadano nell’autoritarismo dell’ ‘ipse dixit’, sia davanti a tutti i laici che io definisco “egregi”, cioè fuori del gregge, che galleggiano come l’olio sulla massa dei cristiani medi».

«In una parola, tu sei contro tutte le distinzioni e le aggregazioni?» chiese concludendo il parrocchiano che mi aveva punzecchiato fino a quel punto..

“Niente affatto! – risposi accalorato -. Sono soltanto contro tutti quelli che, con la convinzione di una loro superiorità, pensano, anche se non lo dicono, che agli altri manca qualche cosa. Se non pensano questo, mi van bene tutti».

«E a te personalmente, il tuo motto è servito? Se ho capito bene i motti episcopali sono o una specie di autodifinizione, o un programma di vita. Per te cos’è stato?».

«Come autodefinizione mi è servito di incoraggiamento tutte le volte che rischiavo di lasciarmi intimidire oltre il dovuto da qualche sopracciò. In questo senso l’ho spesso suggerito anche ad altri. Invece, come programma di vita, mi ha aiutato a cercare di non fare mai il di più. Non sempre ci sono riuscito, ma, grazie a Dio, un tantino mi è servito».