Il terremoto in Nepal. Non ci è permesso vivere spensieratamente

Foto: una delle tantissime immagini del terremoto. Il dramma lontano è diventato vicino

Le notizie che arrivano dal Nepal stanno seguendo le modalità abituali in eventi del genere. All’inizio erano alcune decine di morti, poi alcune centinaia. Adesso si parla di diecimila vittime. Non solo le vittime ma anche l’incomparabile patrimonio artistico è stato gravemente compromesso. Il dramma del Nepal rispetta dunque una componente importante di un dramma che si rispetta: il crescendo. E si assiste, anche per questo, al solito gioco fra la lontananza di un paese così distante e così diverso dal nostro e la “vicinanza” delle immagini che arrivano a casa nostra.

Con un paio di osservazioni, scontate forse, ma importanti. Nei nostri notiziari arrivano soprattutto le notizie “cattive”. Pochi parlavano finora del Nepal, a parte qualche eccezione, di tanto in tanto, e qualche reportage turistico, qualche scalata sull’Himalaya. Non se parlava, perché, abitualmente, non c’erano motivi particolari per parlarne. Adesso, invece, tutti ne parlano. Se può passare la battuta: è stato necessario il terremoto perché il lontano paese diventasse vicino. Solo che succede quasi sempre così, per i paesi lontani e per quelli vicini e anche per le notizie di casa nostra. Il mondo che ci viene proposto è soprattutto – non esclusivamente s’intende, ma soprattutto – il mondo della violenza, della sofferenza, della tragedia.

Intanto però ci si accorge che non esistono isole felici nelle quali ci si possa vivere senza preoccupazioni e senza ansie. Perché bisognerebbe vivere senza notizie e le notizie, che lo si voglia o no, ci inseguono. E quando non sono le notizie che inseguono noi siamo noi che inseguiamo le notizie, perché dovunque siamo, il sito di un giornale amico lo possiamo consultare sempre. Donde deriva una conseguenza morale che anche questo disastro ribadisce: non solo non si può vivere da soli, ma la piccola nostra felicità personale deve fare i conti quotidianamente con la grande infelicità collettiva. E da questa parte del mondo si deve prendere atto che molta gente muore per il lontano terremoto mentre qui, più vicino, gli immigrati continuano ad arrivare. A proposito: quanti ne sono arrivati in questi giorni? Non si sa. Ma non si sa semplicemente perché altre notizie premono e i drammi di Lampedusa sono meno gravi dei drammi di Katmandu. Ma lasciamo passare qualche giorno e si tornerà a parlarne: alla pagode sbriciolate si sostituiranno i barconi arrugginiti degli immigrati libici ed eritrei. Davvero non ci è permesso – non ci è mai permesso – di vivere spensieratamente.