La famiglia Belier: il coraggio di amarsi anche se si è così diversi

Ci si può amare profondamente e parlare due lingue diverse, amarsi e non comprendersi, perché nessuno slancio annulla la distanza tra due persone, “distinte” anche se infinitamente vicine. Accade in ogni specie d’amore, è un’esperienza comune, ma sempre molto sofferta. Con i figli adolescenti, poi…
Anche per questo colpisce al cuore «La famiglia Belier», film di Eric Lartigau ancora in programmazione in città al cinema Conca Verde (http://www.sas.bg.it/cinema-conca-verde/programmazione-e-news). Dall’8 all’11 maggio poi, potete vedere il film anche al nuovo cineteatro di Albino.
Al centro c’è la storia di una famiglia, i Belier, in cui tutti sono sordomuti, eccetto la sedicenne Paula. Vivono in una fattoria nella regione della Loira, che hanno trasformato nel loro piccolo (quasi perfetto) mondo privato. La loro quotidianità è armoniosa e tranquilla, papà Rodolphe decide addirittura di candidarsi come sindaco, e alla giornalista che gli chiede come pensa di poter svolgere questo ruolo pur essendo sordomuto lui risponde un po’ scocciato “perché?”.
È Paula però a sentirsi diversa da tutti: dai suoi familiari perché è l’unica che può sentire e parlare, dagli altri perché ha una famiglia così strana e “speciale” e non facile da capire. Deve spostarsi continuamente da un mondo all’altro e le spetta il ruolo, a volte scomodo, di interprete: è lei che risponde alle telefonate dei fornitori della fattoria, traduce le richieste dei clienti al mercato dove la famiglia Belier porta i suoi formaggi, fa da cuscinetto alle numerose “gaffes” che capitano da una parte e dall’altra.
La scuola è una fatica e lei è una ragazza “difficile” che si addormenta alle lezioni di spagnolo e dà risposte impertinenti ai professori, ma a un certo punto, quasi per gioco, entra nel coro del liceo. È un modo per avvicinarsi a Gabriel, un ragazzo bello e impossibile. Qui però Paula scopre di avere un talento. Lo vede in lei, ancora grezzo, il suo insegnante di musica. La convince a cantare un duetto con Gabriel, «Je vais t’aimer», un successo di Michel Sardou. «Ti amerò come nessuno ti ha mai amato – dice la canzone -, ti amerò più lontano di quanto i tuoi sogni abbiamo immaginato. Ti amerò come nessuno ha osato amarti, ti amerò come vorrei essere amato anch’io…». Racconta una passione bruciante, assoluta, apparentemente invincibile. E questo film di Lartigau, capace di viaggiare in modo fluido dai registri leggeri e comici a quelli drammatici, non è in fondo che un modo speciale, non scontato, del tutto antiretorico per parlare d’amore. L’insegnante convince Paula a partecipare a una selezione di Radio France per entrare in un’esclusiva scuola di canto a Parigi. Lei dice di sì ma continua a prendere lezioni di nascosto: ha paura della reazione della sua famiglia. E ha ragione: non è facile per chi è sordomuto capire cosa significhi cantare. La madre di Paula si ribella ai suoi desideri per tanti motivi: perché teme che lei li lasci soli, sì, ma sotto sotto c’è la paura che la sua “diversità” le ha sempre fatto sin dalla nascita: «Quando ho capito che sentivi ho pianto…E adesso cosa fai? Canti» ammette a un certo punto, addolorata. Il regista, con un tocco felice, riesce a farci indossare i panni dei Belier. È spiazzante, quasi fastidioso, ma anche bellissimo avere l’opportunità, per qualche minuto (e in particolare in una scena che non vi descriviamo per non rovinarvi la sorpresa), poter cambiare punto di vista così radicalmente. Alla fine però, Paula può cantare, a buon diritto, «Je vole», «Io volo», un’altra canzone di Sardou. « Miei cari genitori io vado via/ Vi voglio bene, ma vado via/ Non avete più una bambina, stasera/ Io non fuggo, io volo». Un sentimento che chiude in gabbia anziché mettere le ali non è amore. Anche se per la lontananza ci vuole coraggio.