Sinodo, divorziati e “cammino penitenziale”

LA COMUNIONE AI DIVORZIATI È SOLO UNO DEI PROBLEMI DEL SINODO

Il problema dell’ammissione dei divorziati risposati o conviventi, per quanto sia doloroso e quindi molto sentito, – è già stato detto più volte – non è né il primo e né il più grave tra quelli che il prossimo Sinodo sulla famiglia dovrà affrontare. Alcune puntate fa ho riportato un lungo elenco delle principali sfide con cui la famiglia cristiana deve confrontarsi al giorno d’oggi. Di questo si occuperà il Sinodo. Tuttavia, benché non sia il problema più grave, quello dell’ammissione dei divorziati ai sacramenti merita che, in  vista del Sinodo, gli si dedichi una bella attenzione.

Ho già detto che al Sinodo non si tratterà di fare la conta di chi è pro e di chi è contro l’ammissione dei divorziati ai sacramenti e poi di decidere a maggioranza. Non si tratterà nemmeno di ribadire la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio voluta dal Signore. Per questo non era necessario un Sinodo, come al suo tempo non era necessario il Concilio.

NON SI TRATTA DI UN PROBLEMA  DOTTRINALE MA PASTORALE

Il problema è di taglio pastorale. In parole povere, alla luce della dottrina certa ed immutabile del Vangelo e della Tradizione, a cui tutti devono assenso fedele, qual è la valutazione della situazione della famiglia nel contesto di oggi e soprattutto qual è l’azione pastorale da impostare per far fronte alle sfide che la famiglia cristiana deve affrontare in questi nostri tempi?

Un esempio. Nel questionario mandato ai Vescovi e a tutta la Chiesa in vista della fase conclusiva del Sinodo, il punto 21 suona così: Come possono i fedeli mostrare nei confronti delle persone non ancora giunte alla piena comprensione del dono di amore di Cristo, una attitudine di accoglienza e accompagnamento fiducioso, senza mai rinunciare all’annuncio delle esigenze del Vangelo?

L’impostazione del Sinodo dà per pacifico e ineludibile il dovere di non rinunciare mai all’annuncio delle esigenze del Vangelo. Ma il problema del Sinodo è nella prima parte della domanda: Come possono i fedeli mostrare nei confronti delle persone non ancora giunte alla piena comprensione del dono di amore di Cristo, un’attitudine di accoglienza e accompagnamento fiducioso?

La domanda 20 è ancora più vicina al problema delle famiglie cristiane ferite e fragili: Come aiutare a capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio e come esprimere questa verità nell’azione pastorale della Chiesa verso le famiglie, in particolare quelle ferite e fragili?

Il problema dell’ammissione dei divorziati, risposati o conviventi, ai sacramenti è tutto in quel “Come”. Come mostrare alle famiglie ferite e fragili un’attitudine di accoglienza e accompagnamento fiducioso, pur senza mai rinunciare all’annuncio delle esigenze del Vangelo?”.

L’EVENTUALE RIAMMISSIONE NON SARÀ UN SEMPLICE COLPO DI SPUGNA

Se questi interrogativi dovessero modificare l’azione pastorale della Chiesa in materia di riammissione ai sacramenti, non si tratterà sicuramente d’un colpo di spugna “tout court”, ma avrà come prerequisito quello che viene chiamato “un cammino penitenziale”, fatto di revisione e di seria reimpostazione della vita che riavvicini il più possibile alla proposta del Signore riguardo al matrimonio.

Qui è utile ribadire quanto già segnalato alcune puntate fa. Il card.  Cristopher Schömborn, arcivescovo di Vienna, figlio di divorziati, alla domanda se alla fine del Sinodo si arriverà ad ammettere divorziati alla comunione, risponde che purtroppo si vede solo il problema dei divorziati risposati. Ma non si vede il problema della famiglia più ampia, dove normalmente ci sono figli, genitori, forse ancora nonni, fratelli, sorelle, zii… Parlare di divorziati risposati senza lo sguardo sulla famiglia è drammaticamente unilaterale. Anche la questione della comunione ai divorziati risposati è una questione di comunità.

PUNTI CHIAVE PER UN CAMMINO PENITENZIALE

La sua proposta è che, prima di chiedere se i divorziati risposati possono o meno accedere alla comunione, essi si pongano alcune domande. Quasi un cammino penitenziale o, diciamo, un cammino di attenzione.

La prima attenzione deve essere per i figli. I genitori che fanno un cammino di penitenza devono chiedersi sempre se stanno usando i figli come ostaggi nel loro conflitto matrimoniale.

La seconda attenzione riguarda la storia del primo matrimonio. Come si può pensare di chiedere la comunione se  nel cuore c’è ancora tutto il rancore per ciò che si è vissuto nel matrimonio?

C’è poi una terza attenzione. Questa la deve avere soprattutto la Chiesa. Nelle nostre comunità cristiane ci sono tante persone che mantengono la fedeltà all’ex coniuge anche dopo il divorzio, perché dicono: noi abbiamo promesso l’uno all’altro la fedeltà fino alla morte, e, anche a caro prezzo, vogliamo essere fedeli alle promesse. Che incoraggiamento dà la Chiesa a queste coppie?

Un’ultima attenzione è alla coscienza. Prima di accedere alla comunione, al di là di tutto, c’è una questione a cui ognuno deve rispondere davanti a Dio. Come mi trovo io, in coscienza, con la mia storia davanti a Dio? Questo vale naturalmente non solo per i divorziati, ma per tutti quelli che vanno a fare la Comunione.

Come si vede, il discorso dei sacramenti ai divorziati è serio e non è da prendere con faciloneria.

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