La parrocchia e l’impegno politico

Immagine: nel mondo della politica e nella Chiesa sono fiorite molte “scuole di romrazione politica

Il Card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha affermato che “la voce dei cattolici in politica è quasi sparita”. E Daniele Rocchetti inizia il suo articolo di commento nel numero scorso del nostro settimanale riconoscendo che è “difficile non convenire con il cardinale ambrosiano“.

Nei nostri scambi cultural-pastorali, il parroco di Belsito e io, siamo stati toccati dall’articolo di Daniele. Non vogliamo però qui discutere con lui della presenza dei cattolici italiani in politica. Ha già detto molto bene lui. No, vogliamo solo raccogliere la sua forte raccomandazione perché nelle parrocchie ci si dedichi di più alla formazione dei fedeli all’impegno politico in tutte le sue forme.

BANDO AI LUOGHI COMUNI DELL’ANTIPOLITICA!

In questo sono pienamente d’accordo con lui, sia nella teoria che nella pratica. E il parroco di Belsito pure. So, e mi ha permesso di dirlo, che egli ogni anno nella catechesi agli adolescenti (perché è proprio da lì che bisogna cominciare) con i suoi collaboratori propone alcuni incontri di approccio preparatorio su questo argomento di capitale importanza, una specie di abc, accessibile a chiunque.

Inizia affrontando subito, per smontarlo, lo slogan universalmente abusato secondo cui la politica è sporca. La politica non è affatto sporca. Se la politica è l’arte di governare (una città, un gruppo, una nazione, il mondo) rispondendo ai bisogni, contemperando i diversi interessi, risolvendo i problemi, progettando un futuro comune, bisogna dire che la politica è assolutamente indispensabile a qualsiasi forma di convivenza umana. Senza la politica nessuna comunità potrebbe esistere. La politica si può sporcare, è vero; ma la sua dignità è superiore a qualsiasi profanazione. Paolo VI diceva addirittura che l’esercizio della politica è una delle più alte forme di carità cristiana.

Passa poi a riflettere sul fatto che in politica non è questione di risolvere in modo spicciolo questo o quel problema. In politica tutto è collegato, per cui, per far politica, s’impone un progetto politico globale. Occorre perciò che ci sia qualcuno che appunto si assume la responsabilità di elaborare questo progetto politico d’insieme e possa poi attuarlo concretamente, nell’interesse di tutti. Salta perciò subito agli occhi che per attuare la politica occorre il potere. Se l’autorità non ha potere, non può far niente, e la società rimane senza governo ed è condannata a dissolversi. Ciò è ovvio, è nell’ordine naturale delle cose. E per i credenti ciò che è nella natura delle cose viene da Creatore. Ecco perché S.Paolo dice che (Rm 13, 1-7) il potere dell’autorità viene da Dio per il bene comune. Va detto chiaro perciò che il potere non è diabolico e la sua ricerca non va demonizzata. Del tutto innovativo, se mai, è il modo cercare e di usare il potere secondo Gesù (Mc 9, 35): “Chi vuol essere il primo sia il servo di tutti”. Qui Gesù stesso, il solo vero Signore, insegna.
Questo però non è per niente facile. S. Paolo (1Tm 2, 1ss) vuole perciò che si preghi con insistenza “per i re e per tutti quelli che stanno al potere… “. Molti a queste parole storcono il naso perché temono che il pregare per l’autorità sia un chiamare Dio in appoggio di chi è al potere. Tutt’altro. Non si dimentichi che S. Paolo scrive queste cose sotto l’impero di Nerone! Di sicuro non chiede di pregare a sostegno della politica di quel famigerato. Egli raccomanda di pregare per l’autorità perché essa agisca in modo che “noi possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità”. Quindi, pregando per chi è al potere, si prega ancora per noi stessi e per la felicità di tutti.

Il parroco di Belsito porta infine i ragazzi a individuare il regime politico gradito a Dio. Bibbia alla mano, mostra come Dio non gradisce che gli Ebrei chiedano di avere un re come tutti gli altri popoli. La ragione non è perché Dio sia… per il sistema repubblicano. No, Dio vuole solo che gli Ebrei non desiderino un re come gli altri popoli, per la semplice ragione che per gli altri popoli il re era un dio e come a un dio dovevano obbedirgli. Il Signore invece, dopo aver liberato il suo popolo dalla schiavitù egiziana, gli dice solennemente: “Non avrai altro Dio all’infuori di me“. E non glielo dice per arroganza. Lo dice perché il popolo, da lui reso libero, non ridiventi mai più schiavo di nessun potere totalitario. E Dio vuole che anche il re non si ritenga e non si imponga come un padreterno, ma sia sottomesso a Lui che è l’unico Signore. Il re d’Israele infatti, tra i re antichi, era il solo sottomesso alla Legge. Quando il primo Comandamento è rispettato, ogni regime… è sulla buona strada.

OVVIETÀ INDISPENSABILI

I punti di questa catechesi, come si vede, sono elementarissimi, ma sono necessari per sgombrare il terreno da pregiudizi grossolani, che danneggiano soprattutto i giovani. Se l’impegno politico è una delle più alte forme di carità cristiana, si può non cominciare presto a mettere nei giovani i fondamenti filosofici, ma anche teologici e spirituali per un simile impegno di carità? Il Belsito e io siamo stati incoraggiati a lavorare in questo senso a una Settimana nazionale del COP (Centro Orientamento Pastorale) a Firenze, anni fa. Il tema era “Fede e Politica”. Uno dei relatori, ricordo, si rivolse ai parroci dicendo: “Parroci, fate venir voglia ai vostri giovani di fare il sindaco“. Applausi!