Parole sante, caro Papa Francesco. Ma noi, dopo averle ascoltate, siamo provocati dalla nostra coscienza a farci delle domande e a fermarci attentamente, seriamente e a lungo su ognuna.
DOMANDE INELUDIBILI SULLA NOSTRA SPERANZA
Qual è innanzi tutto la speranza che non ci dobbiamo lasciar rubare? Qual è la nostra speranza? C’è speranza e speranza, evidentemente. Ci sono speranzine fatue e altre più forti e portanti.
Con quale speranza, ad esempio, due giovani si sposano davanti al Signore nella sua Chiesa e non davanti al sindaco o decidono semplicemente di convivere?
Qual è la speranza che hanno i genitori quando “progettano” e mettono al mondo un bambino? Per quale speranza lo fanno battezzare? Quale speranza gli mettono poi nel cuore quando lo orientano a percorrere fedelmente le strade di Dio e della Chiesa, anche se le cose si fanno difficili?
Con quale speranza, con che desideri nel cuore ci rivolgiamo (se pure lo facciamo) ogni giorno al Signore e alla Madonna nella preghiera? (Par di sentire il lamento del Signore: “Voi mi cercate… perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”, Gv 6,26). Con quale speranza si fa il segno di croce all’inizio o alla conclusione di ogni giornata?
Con quale speranza e con quali invocazioni nel cuore ci si rivolge al Signore nella malattia nostra o dei nostri cari? Qual è la speranza che, secondo la raccomandazione di S.Paolo (1Ts 4,13), ci distingue dagli altri davanti alla morte e alla sepoltura dei nostri cari?
Qual è la nostra speranza in mezzo a tutta la confusione, alle cattiverie e ai drammi dell’attualità? Qual è la speranza con la quale affrontiamo un viaggio, intraprendiamo un’iniziativa, entriamo in una carriera (professionale, sociale, politica…)?
Qual è la speranza che noi di Chiesa abbiamo di fronte alla scristianizzazione dilagante?
DOMANDE SUL FONDAMENTO DELLA SPERANZA
Ma soprattutto chiediamoci su che cosa, o su chi si fonda di volta in volta la nostra speranza?
Non è una domanda irrilevante. È la speranza, sono le attese, le mire, gli scopi che qualificano tutto nella nell’esistenza di ciascuno. Ed è giusto e utile che ognuno ne sia consapevole. Non per niente s. Pietro (1Pt 3,15) ai cristiani raccomandava di saper rendere ragione della speranza che è in loro: saper rendere ragione prima a se stessi e poi a chiunque glielo chieda.
Noi, sinceramente, sapremmo rendere ragione a noi stessi o a chi ce lo chiedesse del perché e con quale speranza siamo cristiani e soprattutto del perché e con quale speranza continuiamo ad esserlo?
Siamo proprio convinti che la speranza non delude (Rm 5,5)?
DOV’È FINITA LA SPERANZA?
Se siamo lieti nella speranza (Rm 12,12), se cioè la nostra gioia di vivere è fondata, concretamente, solo sulla speranza che ci viene da Cristo (Col 1,27; 1Tm 1,1), il vero e unico vincitore del male, di ogni male, e della stessa morte, è giusto che, come dice il Papa, facciamo di tutto perché niente e nessuno ci rubi questa speranza i cui frutti non si corrompono e non marciscono (1Pt 1,4).
Non dimentichiamo mai che, a nostra vergogna, Nietzsche, quasi con rabbia, aveva esclamato: “Per farmi imparare a credere al loro Dio, bisognerebbe che i cristiani cantassero dei canti migliori, bisognerebbe che avessero un’aria più contenta”. E Charles Bernanos quasi gli faceva eco: “Ci domandiamo che cosa ne facciate voi cristiani della grazia di Dio. Non dovrebbe raggiarvi dal viso? Dove diavolo nascondete la vostra gioia?”.