La fabbrica della paura. Immigrati: tra il percepito e il reale

In Italia la disoccupazione è al 49%. In pratica, un italiano su due è senza lavoro. Nel nostro Paese gli immigrati sono quasi in terzo dell’intera popolazione: sono il 30%. Una questione non da poco, in una nazione, la nostra, dove le persone con più di sessantacinque anni sono nientemeno che il 48 per cento, quasi la metà.

Queste sono le convinzioni di moltissimi italiani. Dovremmo dire piuttosto: queste sono le percezioni di moltissimi italiani. Perché in realtà la situazione concrete è ben diversa. I disoccupati sono il 12%, gli immigrati il 7% e gli over 65 il 21%.
È quanto emerge da una ricerca compiuta qualche mese fa da IPSOS sulla percezione della realtà da parte dei cittadini di 14 Paesi tra cui l’Italia. Oggetto della ricerca è il modo in cui la popolazione vede la propria realtà rispetto ad alcuni argomenti di carattere sociale. I dati diffusi dall’istituto di ricerca mostrano una generalizzata e diffusa tendenza a interpretare male (o ad ignorare) alcuni aspetti della realtà. Al punto che – tenendo presente i dati raccolti – IPSOS ha stilato una classifica dei Paesi meno a contatto con la realtà e quelli più realisti e informati. Al primo posto, in questa speciale gara a chi ne sa meno della società in cui vive, siamo noi italiani, seguiti da Stati Uniti e Corea del Sud.

DISTINGUERE IL PERCEPIRE DAL REALE 

Questa ricerca mi è tornata alla mente quando recentemente ho letto l’intervista di mons. Galantino, segretario generale della CEI, a Radio Vaticana: “Come italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il ‘percepire’ dal reale. Noi qui sentiamo dire e sentiamo parlate di ‘insopportabilità’ del numero di richiedenti asilo: guardate, questo, secondo me, è un atteggiamento che, in questi giorni, viene purtroppo alimentato da quattro piazzisti da quattro soldi che pur di prendere voti, di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse.” Parole dure ma sacrosante.

UNA SITUAZIONE DIVERSA CHE NON MOLTI CONOSCONO

In una sua riflessione contro “la retorica della paura”, il sociologo Maurizio Ambrosini ricorda che gli ingressi che erano fino al 2009 più di 400mila all’anno sono scesi a circa 250mila (con una quota dominante di ingressi regolari rispetto agli sbarchi irregolari). Molti più stranieri vengono in realtà accolti da Germania, Francia, Regno Unito. Per non parlare di Paesi più “poveri” (ma evidentemente più ricchi di capacità di accoglienza) come Turchia e Libano, alle prese con milioni di di rifugiati senza per questo vedere incepparsi le loro economie. In Libano, oggi, ci sono 200 rifugiati ufficiali (in crescita costante) per 1.000 abitanti, in Italia 1 e in Svezia 9. E come quota di immigrati sulla popolazione in Italia siamo molto al di sotto di altri grandi Paesi come Germania e Francia anche se abbiamo registrato una crescita maggiore dal 2000 ad oggi.

STIAMO SUI DATI. NON PARLIAMO ALLA PANCIA DELLA GENTE

Insomma, tra il percepito e il reale c’è di mezzo la retorica della paura. Che, in alcuni casi ben specifici, diventa, apertamente, la “fabbrica della paura”. In servizio permanente effettivo e che ha costruito una narrativa che alimenta la xenofobia di una parte degli italiani: gli stranieri sbarcano in numero sempre maggiore sulle nostre coste togliendo lavoro e risorse per il welfare agli italiani. Niente di più falso. Come ha dimostrato in un articolo per Avvenire l’economista Leonardo Becchetti “gli immigrati non sono un peso ma un beneficio per le casse dello Stato pagando 8,6 miliardi di euro di imposte su 45 miliardi di reddito imponibile e ottenendo, nel complesso, risorse pubbliche per 3,9 miliardi in meno. Con un rapporto di 1,06 – praticamente di uno a uno – tra popolazione che lavora e inattivi (il più basso nella Ue dopo la Grecia e contro l’1,76, ad esempio, della Germania) abbiamo, poi, enorme bisogno di “forza lavoro” addizionale. Quanto agli arrivi sta accadendo in realtà l’opposto di ciò che si racconta, perché la crisi economica ha ridotto la desiderabilità del nostro Paese. Gli immigrati si fermano da noi in quantità minori rispetto agli anni passati, approdano e transitano con la speranza di arrivare altrove, e invece noi ne abbiamo bisogno.”
Come a dire, la realtà dell’immigrazione è complessa e non facile da affrontare, il fenomeno sempre più strutturale e non congiunturale ma – per carità e soprattutto per verità – ragioniamo sui dati concreti. I problemi – che nessuno ignora – non si risolvono parlando alla pancia della gente. Forse portano voti, certo non soluzioni.