Una stranezza moderna: c’è meno fede e più intolleranza in nome della fede

Foto: Egitto, una manifestazione di cristiani copti.

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi (vedi Vangelo di Marco 9, 38-43.45.47-48. Per leggere i testi liturgici di domenica 27 settembre, ventiseiesima del Tempo Ordinario, clicca qui)

Gesù si sta dedicando alla formazione dei suoi discepoli che sono gli unici rimasti. Nel brano di vangelo di oggi, i suoi discepoli gli pongono un altro quesito.

I MIRACOLI DELL’INTRUSO

Questa volta è Giovanni, il discepolo che spesso appare dotato di un carattere particolarmente vivo, talvolta focoso e geloso. Vede un tale che non è del gruppo che scaccia i demoni pronunciando il nome di Gesù. Era una pratica molto diffusa nel mondo ebraico: i demoni venivano scacciati pronunciando un nome autorevole, quasi per avvalersi della sua autorità e della sua forza spirituale. Giovanni proibisce all’estraneo, perché, alla lettera: “Non viene insieme a noi”, cioè non fa parte del gruppo dei discepoli che “vanno dietro” al Signore, che stanno con lui. Ma Gesù mostra una straordinaria larghezza di vedute e rimprovera lo zelo eccessivo di Giovanni: “Chi non è contro di noi è per noi“, dice. E aggiunge che basta il bene più esile, più piccolo, basta un bicchiere d’acqua dato ai discepoli nel nome del Signore per raggiungere la vita eterna. La “ricompensa”, quindi, non è da concepirsi commisurata alle opere compiute, ma al fatto che le opere sono state compiute nel nome del Signore.

LA MACINA AL COLLO

Quindi Gesù parla del comportamento  verso i “piccoli”. “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare”, dice. Non si tratta soltanto dei bambini, ma anche di coloro che, in qualche modo, possono essere assimilati a loro: i deboli, i marginali, tutti coloro che non hanno un giudizio sufficientemente autonomo e quindi sono maggiormente esposti al rischio dello scandalo. Le macine erano delle grosse pietre circolari che servivano per macinare il grano e che venivano fatte girare trainate da asini. L’annegamento accelerato dal peso di grosse pietre appese al collo era stato introdotto in Palestina dai Romani.

MEGLIO ENTRARE NEL REGNO CON UNA SOLA MANO

Gesù ha parlato finora del comportamento verso gli altri (gli estranei, i discepoli, i “piccoli”). Adesso parla del comportamento verso se stessi. “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile“. Dunque si può entrare nella “vita eterna”, cioè lo stato definitivo del Regno: è certamente il paradiso, ma è anche ciò che lo precede, questa vita vissuta con il Signore, in sua compagnia. Ora, questa vita con il Signore, la vita del Regno, è talmente importante e bella che tutto diventa secondario rispetto ad essa. È meglio tagliare una mano, o un piede, o cavare un occhio piuttosto che perdere quella vita. Gesù dice che è meglio entrare nella vita monco piuttosto che essere gettato nel fuoco della Geenna. La Geenna è la valle nella quale un re di Israele, Achaz, vissuto verso la metà dell’VIII secolo a. C., faceva sacrificare i bambini al Dio Moloch, facendoli passare attraverso il fuoco. Il re Giosia, un altro re di Israele, venuto circa un secolo dopo, per dissacrare quel luogo, vi fece gettare le immondizie di Gerusalemme che poi venivano bruciate. Per cui il fuoco vi ardeva in continuità. Dunque, con le sue espressioni forti, Gesù afferma che non esiste nulla di più importante che entrare nel Regno. Se un discepolo, per salvare una mano, non diventa discepolo del Signore, salva quella mano ma perde tutto.

CREDIAMO DI MENO E CI ARRABBIAMO DI PIÙ

Spesso, oggi, si usa la nostra fede come arma impropria, qualcosa da scagliare contro qualcuno. Invece, la prima e la terza lettura ci dicono che Dio ha dei “canali” che noi non conosciamo. Non per giocare a rimpiattino con noi, ma perché la sua volontà di amare tutti gli uomini supera immensamente tutti i nostri schemi.

Questo mette sotto critica una delle caratteristiche moderne di alcune religioni che sono diventate intolleranti, violente. Tutto è buono ciò che è “dentro”, tutto è cattivo ciò che è “fuori”. L’Islam lo fa spesso ma, per rispondere all’Islam, talvolta anche i cristiani diventano intolleranti. È interessante notare che i santi non sono mai intolleranti. Sono convinti, infatti, che Dio non tradisce e quindi non si spaventano di fronte al diverso, al musulmano, all’ateo.

Spesso, invece, oggi ci tocca rilevare una strana contraddizione: crediamo di meno e ci arrabbiamo di più contro chi ha una fede diversa dalla nostra. Come mai? È molto probabile, allora, che le due cose vadano insieme non per caso. Proprio perché crediamo poco ci spaventiamo molto e aggrediamo chi ci aggredisce. Prima del problema dell’Islam viene il nostro problema: il dramma dell’Occidente è la sua indifferenza.