Scuola, genitori guerriglieri, alunni annoiati e l’indispensabile “arte dell’educare”

Alla frontiera tra l’istituzione della società  civile che si chiama “famiglia” e l’istituzione pubblica che si chiama “scuola” aumentano le scaramucce, quasi fossero due paesi ostili.

GENITORI E SCUOLA: ACCUSE INCROCIATE

I genitori accusano la scuola di non essere più capace di formare/educare e di riconoscere le prestazioni dei figli, la scuola ribatte che i genitori, a loro volta, non sanno più né educare né riconoscere i lati d’ombra che i ragazzi, a volte, mostrano fuori dall’ambiente familiare. È certo che le famiglie sono passate dall’attribuire ai figli la responsabilità dei loro insuccessi educativi/formativi per caricarla sulle spalle dei loro insegnanti. La cronaca documenta che talora i genitori non si fermano alle male parole, ricorrono ai TAR per ribaltare gli esiti degli esami finali o anche alle vie di fatto contro i dirigenti scolastici o contro gli insegnanti.

Alle radici del contendere sta la difficoltà crescente delle generazioni adulte di passare a quelle giovani il testimone della civiltà o, per essere meno enfatici, della civilizzazione. Pare divenuta una missione impossibile o, comunque, difficilmente praticabile, nella quale i due soggetti educativi fondamentali, famiglia e scuola, si sentono sempre più inadeguati e frustrati. Come i polli di Renzo, si beccano, stando a testa in giù. Per riproporsi in una postura naturale, devono cominciare a guardare in faccia la realtà del mondo e la collocazione che in esso vengono assumendo le nuove generazioni.

I RAGAZZI: IN CAMMINO VERSO SE STESSI

Le giovani generazioni continuano a venire avanti mosse dalle pulsioni fondamentali dell’esistenza, che possiamo sintetizzare con il lessico dei classici come Logos, Eros, Agape. Tradotto: i bambini continuano a protendersi verso il mondo con la corporeità, la psiche, la mente, curiosi del mondo e della vita, bisognosi di relazioni positive con gli altri. Né angeli né “perversi polimorfi” – per usare un’espressione di Freud – essi chiedono di essere accompagnati nel loro cammino verso la realtà e verso la storia degli uomini. Non sono né adulti mancati né uomini realizzati: sono in cammino verso se stessi, verso la conquista della libertà di sé e della verità di sé nella situazione del mondo. Verso quale libertà e quale mondo è ciò che gli adulti che li accompagnano devono essere in grado di discernere: in ciò consiste l’educare.

CHE COSA SIGNIFICA EDUCARE

Per quanto possiamo sottolineare le differenze che il mondo della globalizzazione manifesta rispetto al mondo della seconda rivoluzione industriale in cui nonni e genitori sono nati, le tendenze di fondo del cuore umano non sembrano cambiate. Il primo compito educativo è, pertanto, guardare in faccia il mondo così come è oggi, nuovo per noi e per le generazioni giovani. Richiede uno sforzo intellettuale, tanto ai genitori quante alla scuola. Come a dire: il primo mondo che intravedono i ragazzi è quello che filtra attraverso il prisma degli adulti. Questo vedere e fare intravedere è, inevitabilmente, anche un giudicare, un discernere, un dare giudizi di valore. Tradotto, secondo le responsabilità di ciascuno dei soggetti educativi fondamentali, significa che i genitori hanno il dovere di esplicitare una visione del mondo – un mix di percezione intellettuale e di giudizi di valore – e la scuola quello di proporre, attraverso il curriculum, un sapere di civiltà.

L’ETÀ CRUCIALE: 3-10 ANNI

Da quando? Da quando il bambino nasce, tenendo conto che il periodo cruciale dell’educazione/formazione è quello che va dagli 03 ai 10 anni. Le scienze del cervello ci informano che sono gli anni decisivi, nei quali il ragazzo costruisce le basi neurali del sapere e del giudizio di valore. Il cervello da solo non produce né conoscenze né etica, ma è certo che è nel cervello – costituito da 100 miliardi di neuroni, dotati ciascuno di circa 100 mila sinapsi-canali di comunicazione – che si radicano insegnamenti e testimonianze ed esperienze del mondo adulto. Rispetto a questo fatto, non si può evitare di notare l’indifferenza intellettuale ed etica di molti genitori e l’inadeguatezza grave degli assetti curriculari e delle pratiche didattiche e educative delle scuole. Tra genitori che rinunciano al loro ruolo di educatori e scuole che spengono la curiosità dei ragazzi, è difficile dire chi sia il peggiore.

IL RISCHIO DELLA SOLITUDINE

La conclusione è solo apparentemente salomonica: il conflitto tra genitori e scuola è solo segno dell’inadeguatezza delle attuali generazioni adulte a educare quelle giovani, stiano esse a casa o a scuola. Non soltanto occorre riconoscere che l’impresa educativa è troppo grande per essere lasciata solo ad uno dei soggetti educativi (o i genitori o la scuola, ma in realtà ne esistono molti altri: la parrocchia, l’associazionismo, il mondo del lavoro – è questo, d’altronde, il senso della proposta dell’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro nel curriculum), ma, soprattutto, che tutti questi soggetti educativi adulti debbono misurarsi e confrontarsi con il mondo e tra di loro. Il rischio più grave che i ragazzi oggi corrono è la solitudine, cioè quello di non essere davvero conosciuti, perciò ri-conosciuti, perciò presi sul serio, perciò responsabilizzati. A questa reagiscono con la depressione, la noia, l’indifferenza, l’aggressività, il bullismo… Forse, invece di cercare i responsabili di tutto ciò fuori di sé, forse conviene guardarsi dentro, a casa e a scuola.