La grazia del Concilio e chi non la comprende

Foto: una seduta del Concilio Vaticano II

Esattamente cinquant’anni fa, l’otto dicembre 1965, in una mattinata romana fredda ma con un sole splendente, Paolo VI, sul sagrato della basilica di San Pietro, dopo aver consegnato sette messaggi (per i governanti, gli uomini di pensiero e di scienza, gli artisti, le donne, i lavoratori, i poveri i malati i sofferenti, i giovani), chiuse solennemente il Concilio Vaticano II.

IL CONCILIO EVENTO STRAORDINARIO

Da allora molto è cambiato nel mondo e nella chiesa, ed è difficile stabilire quali mutamenti sono attribuibili con certezza all’evento annunciato quasi sette anni prima (il 25 gennaio 1959) da Giovanni XXIII ai cardinali riuniti nella sala capitolare del monastero benedettino di S. Paolo fuori le mura e avviato, sempre dal papa bergamasco, l’11 ottobre del 1962, alla presenza di 2540 vescovi provenienti da tutto il mondo.

Il Concilio ecumenico, riunione di un’assemblea plenaria dell’episcopato della Chiesa universale, non era un evento né normale né tantomeno familiare nella cattolicità di quegli anni. L’ultimo, il Vaticano I, era stato sospeso nel 1870 sotto l’influsso degli avvenimenti che dovevano porre fine al potere temporale del Papa. Aveva però fatto in tempo a definire la dottrina del primato e dell’infallibilità papale, che sviluppava una sorta di accentramento romano della Chiesa, progressivamente affermatosi nel corso dell’Ottocento. Più indietro, bisognava risalire a Trento, in pieno Cinquecento, il Concilio della risposta cattolica alla Riforma, così fondamentale per la vicenda moderna della Chiesa occidentale.

IL CONCILIO E LA SUA APPLICAZIONE

È possibile tracciare un bilancio dell’evento conciliare? Il grande storico Jedin ripeteva spesso che un concilio comincia ad essere conosciuto in profondità, e quindi applicato, dopo almeno cinquant’anni dalla sua celebrazione. Gli studiosi ricordano che il cardinal Bellarmino stese diversi memoranda per sollecitare dal Papa Clemente VIII l’adempimento del Concilio tridentino, terminato da ormai quarant’anni. Mentre san Carlo all’indomani dell’assise tridentina apriva subito a Milano i primi seminari, come il Concilio aveva disposto, il primo seminario tridentino in Francia porterà la data del 1635. E i decreti disciplinari approvati da Paolo IV nel 1564 saranno accolti dall’assemblea del clero a Parigi nel 1615. Per questo, al di là di alcuni mutamenti di facciata che qualche volta sono stati introdotti nell’immediato post-Concilio un pò sbrigativamente, la presa di coscienza, la conversione che il Concilio – evento fondatore del cattolicesimo moderno –  ha provocato, richiede una lunga e fedele attuazione.

PAPA FRANCESCO E IL VATICANO II

Ho più volte scritto che, a mio avviso, una delle ragioni dell’opposizione durissima che papa Francesco trova da una parte non secondaria della chiesa è la sua volontà di portare a compimento il Concilio Vaticano II. Egli –  primo papa fra i pontefici postconciliari a non avervi preso parte – ha più volte ripetuto che non vuole che esso sia ridotto a “monumento che non dia fastidio”. Non è un caso che abbia scelto di aprire l’Anno Santo della misericordia proprio l’otto dicembre, a cinquant’anni dalla fine dell’assise ecumenica. E proprio nell’omelia della messa di apertura del Giubileo ha detto: “Il  Concilio è stato un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa a uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro a ogni uomo là dove vivere: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro”.
Per questo, più volte papa Francesco ha ripetuto che  “chi torna indietro sbaglia”, perché il Concilio “ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo. E adesso bisogna andare avanti”.

Ed è giusto che sia così: perché il Concilio non è un manuale, ma la “tranquilla audacia” di una Chiesa che riconosceva d’essere innanzi a sfide più grandi delle strutture d’autorità su cui s’era retta per secoli (buoni o grami) ormai passati. Adunata a concilio, la Chiesa scopriva che la modernità, detestata come una fatalità, indecifrabile ai pigri paradigmi intransigenti, era una vocazione a volgersi verso Gesù e verso l’uomo in quanto tale e a scopr

UNA “STORICA” AFFERMAZIONE DI PAPA GIOVANNI

Lo ha avuto ben chiaro, strada facendo, Papa Giovanni XXIII. Una decina di giorni prima di morire, davanti ai suoi collaboratori, Angelo Giuseppe Roncalli uscì con questa espressione: “Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, noi siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici. A difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica. Le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant’anni, l’approfondimento dottrinale, ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove… Non è il Vangelo che cambia. Siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.