In carne ed ossa. Piccole storie di grande umanità

Foto: Las Patronas, le donne che soccorrono il treno dei profughi, vicino al confine messicano

MESSICO. IL TRENO MERCI PIENO DI DISPERATI E LE DONNE CORAGGIO

La Bestia” è un treno merci che parte dal Centro America e arriva fino alla frontiera messicana con gli Stati Uniti. Ogni anno circa duecentomila uomini e donne, vecchi e bambini, vi salgono sopra per raggiungere la frontiera e da lì cercare di entrare negli Stati Uniti. Durante il viaggio sono vittime di estorsioni, rapine, violenze, sequestri, menomazioni, maltrattamenti, insulti e, in molti casi, di morte: delinquenti e narcotrafficanti da un lato e polizia messicana di frontiera dall’altro si incaricano di rendere loro la vita impossibile. Spesso gli abitanti delle zone che attraversano li trattano male. Molte donne migranti vengono stuprate. Eppure in quell’inferno ci sono gruppi, formati per lo più da donne contadine, che con grande rischio personale lanciano, attraverso i portelloni aperti dei vagoni, qualche cucchiaio di riso in una borsa di plastica ben annodata e una bottiglia d’acqua. Las Patronas è il gruppo più noto tra questi. Donne che non si sono girate dall’altra parte, che non hanno fatto finta di niente davanti al treno merci che passa dal loro villaggio. Una di loro ha detto recentemente: “Pensavo: perché dovrei farlo? Finché un giorno si ferma un treno carico di più di cinquecento persone, ho avuto paura. Molti iniziano a scendere dai vagoni e circondano il mio furgone. In quel momento non capivo se volessero rubarmi qualcosa o picchiarmi. Ma quello che cercavano era solo aiuto. Mi domandavano aiuto. Vedere quella donna che si inginocchiava davanti la porta di casa; non potrò più dimenticarlo. Bisognerebbe inginocchiarsi solo davanti a Dio, e invece queste persone sono costrette dalla disperazione a supplicare per ricevere aiuto”.

LESBO. LE ONDATE DI FUGGIASCHI, LE NONNE E IL PESCATORE-EROE

Lesbo è un’isola greca situata nell’Egeo nord-orientale, di fronte alle coste della penisola anatolica. Il centro principale è Mitilene. È famosa per aver dato i natali, nel VII secolo avanti Cristo, ai poeti lirici Alceo e Saffo. Oggi Lesbo ha 87 mila abitanti e in questi ultimi anni ha accolto più di mezzo milione di profughi arrivati dal mare turco. Siriani, iracheni, afghani, pakistani. Uomini e donne, vecchi e bambini, in fuga dalle atrocità nei propri paesi e dalla reclusione dei campi profughi turchi. Le imbarcazioni – spesso gommoni – arrivano durante la notte e nelle prime ore della mattina. Sulle spiagge ci sono presidi di volontari per evitare incidenti, offrire assistenza medica e distribuzione di generi di primo soccorso. Alcune settimane fa ha fatto il giro del mondo la foto delle tre donne anziane, tre tradizionali ‘yiayias‘ (nonne) greche, sedute su una panchina. Una di loro allatta col biberon un bambino siriano. Sull’isola – candidata al Premio Nobel per la Pace – vive anche Stratis Valiamos, 40 anni, pescatore, che ogni notte, da anni, va in cerca di naufraghi da salvare con la sua barca. “La gente mi dice ‘sei un eroe,’ ma questo non è eroismo, è la cosa normale da fare”, ha detto recentemente ai giornali. “Quando stai pescando e una barca sta affondando accanto a te e stanno gridando aiuto, non si può far finta di non sentirli”.

BERGAMO. L’IMPRENDITORE CHE RIFIUTA UNA COMMESSA DESTINATA A PRODURRE BOMBE

Vado a pranzo con un amico, un piccolo imprenditore bergamasco. Mi racconta che gli è arrivata la richiesta di una grossa commessa per un lavoro da mandare a una ditta tedesca che lavora per l’esercito degli Stati Uniti. Dopo lo studio preliminare, capisce che gli viene chiesto di produrre piccoli componenti per bombe a mano. Il mio amico decide di non accettare. “Se non lo fai tu, lo faranno certamente altri” è l’obiezione che si sente rivolgere, anche in ditta. Eppure non ha esitazioni. “Come mi sentirei, se venissi a sapere che qualcuno è morto anche per colpa del mio lavoro?”

RESTARE UMANI. NONOSTANTE TUTTO

Storie diverse, di persone che vivono in mondi diversi. Che raccontano però tenacemente l’impegno di tanti – spesso sconosciuti ai più – che cercano di rimanere umani. Nonostante tutto. Sanno che tocca alla politica gestire la complessità dei problemi. Ma sanno anche che dietro ogni problema ci sono uomini e donne, vecchi e bambini. In carne e ossa. Con nomi e volti. Ed è a loro che bisogna rispondere.
Quando ebbi il dono di intervistare don Tonino Bello, l’indimenticato vescovo di Molfetta, mi disse che “il cristianesimo è la religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non degli ectoplasmi. Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, e non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi.”
Questi uomini e queste donne sono la speranza del nostro tempo. In un mondo perso nei suoi labirinti e sofismi, restituiscono a ciascuno di noi dignità e coraggio. Quanto ne abbiamo bisogno.