La Messa è tutta rivolta al Padre. Un modo “altro” di vedere l’Eucarestia

Nella ricorrenza del Giovedì santo, in cui si ricorda l’istituzione del Sacramento dell’Eucaristia e dell’Ordine, da qualche tempo, personalmente, ringrazio il Signore per avermi fatto capire, per mezzo di un giovane prete, un aspetto della Messa a cui non avevo mai fatto caso e che invece, una volta scoperto, ha letteralmente cambiato il mio modo di celebrare e di vivere il santo Sacrificio.

Sapevo da sempre che la Messa, salvo qualche piccolo particolare, è tutta rivolta al Padre. Ma non ne avevo mai tirato le conseguenze, per cui, per esempio, al momento della Consacrazione, la mia attenzione e la mia preghiera erano sempre indirizzate a Gesù e alla sua Presenza reale. (“Signore mio e Dio mio”). Educato a questo fin da bambino, avevo continuato anch’io a fare la stessa cosa con i bambini della prima Comunione, con i chierichetti, con i fedeli quotidiani e domenicali.

LA MESSA, MEMORIALE DI GESÚ POSTO TRA NOI E IL PADRE

Alcuni anni fa, il giovane sacerdote di cui parlavo, mi disse che i suoi parrocchiani lo avevano criticato perché, a differenza degli altri sacerdoti, al momento della Consacrazione, quando pronunciava le parole del Signore, non guardava i fedeli come per dirle proprio a loro: “Prendete e mangiate… Prendete e bevete”. Incuriosito, gli chiesi che cosa avesse risposto a questa osservazione, che anche  per me era giusta. Egli mi disse di aver risposto ai suoi critici: “Ma io in quel momento non sto parlando con voi. Sto parlando con il Padre e gli sto ricordando quello che Gesù ha fatto per noi”.

Per me fu una rivelazione. E subito cominciai a fare la stessa cosa. Con grandissimo mio profitto spirituale, che condivido volentieri con quanti possono sentirsi interessati.

Ovviamente non è che non pensi più alla Presenza reale di Gesù. Le genuflessioni prescritte continuano a farmela venire in mente. E continuo pure a raccomandare l’adorazione a Gesù presente nel tabernacolo. Ma ora, ogni volta che nella Messa inizio la preghiera di consacrazione, penso che son lì davanti al Padre, con tra le mani il suo Figlio e nostro Fratello Gesù che rinnova il memoriale del suo dono di sé per la nostra salvezza. Pronunciate le parole del Signore, alzo prima l’Ostia e poi il Calice, dicendo: “Guarda, Padre, e ricordati di ciò che Gesù ha fatto per noi nell’ultima cena e sul Calvario e abbi misericordia di noi e del mondo intero”. E, siccome so che il memoriale è un segno sacramentalmente posto tra Dio e noi, mi viene logico da pensare al popolo davanti al quale sto celebrando e prego così: “E fa’, o Padre, che anche noi, guardando questo memoriale, ci ricordiamo del dono di sé che Gesù ha fatto per noi e impariamo anche noi a donarci con lui e come lui”.

LA FORZA POCO CONSIDERATA DEL MEMORIALE

Grazie a quel giovane prete, a cui non sarò mai abbastanza riconoscente, ho cominciato a cogliere il senso poco considerato del memoriale. Di forte aiuto a questo proposito mi sono state le parole lette di recente del Vescovo Martire S. Giovanni Fisher (+ 1535) che nel suo Commento ai salmi scrive: “Gesù immolò il sacrificio dapprima qui sulla terra, quando sopportò una morte acerbissima, e poi quando… entrò con il proprio sangue nel santuario del cielo. Qui presentò davanti al trono del Padre celeste quel sangue d’immenso valore che aveva versato a profusione per tutti gli uomini schiavi del peccato. Questo sacrificio è così gradito e accetto a Dio, che egli non può fare a meno – non appena lo guarda –  di avere pietà di noi e di donare la sua misericordia a tutti quelli che veramente si pentono”.

Queste parole mi spingono a consigliare ai miei lettori di provare loro stessi, al momento dell’elevazione, a sostituire il “Signore mio e Dio mio” rivolto a Gesù con una preghiera rivolta al Padre perché si ricordi del sacrificio di Gesù e, grazie a lui, abbia misericordia di noi e del mondo intero.

IL MODO DELL’ELEVAZIONE DEVE RICHIAMARE IL MISTERO

In questo modo l’elevazione risulta meno spiccia, ma più solenne. Ma così personalmente ho modo di esperimentare anche la verità di una risposta che mi diede il nostro professore di Liturgia don Antonio Donghi quando gli chiesi: “Gli ortodossi, per indicare la sacralità del Mistero  eucaristico hanno l’inconòstasi (questa vera e propria parete che separa i celebranti dal popolo e nasconde lo svolgersi del rito). Noi che cosa abbiamo? Noi vediamo tutto, capiamo tutto… Ma è proprio vero che cogliamo il mistero? Cos’è che ci aiuta?”. E don Antonio mi ha risposto: “Noi abbiamo il modo di celebrare“. A patto appunto che non sia frettoloso e sbrigativo.

Ringrazierò sempre il giovane prete che mi ha fatto il regalo di questa più giusta visione del Canone della Messa e, per non tenerlo per me, questo dono, nel Giovedì Santo e nella Pasqua di quest’Anno santo della Misericordia, lo condivido con tutti quelli a cui fa piacere.